VITTORIO DE SICA
LADRI DI BICICLETTE
(BICYCLE THIEVES)
:::->LOCANDINA<-:::
Titolo originale: Ladri di biciclette
Paese: Italia
Anno: 1948
Durata: 90'
Colore: B/N
Audio: sonoro
Genere: drammatico
Regia: Vittorio De Sica
Soggetto: Luigi Bartolini & Cesare Zavattini
Sceneggiatura: Cesare Zavattini , Vittorio De Sica , Suso Cecchi
d'Amico , Oreste Biancoli , Adolfo Franci , Gerardo Guerrieri
Interpreti e personaggi
* Lamberto Maggiorani Antonio Ricci
* Enzo Staiola Bruno
* Lianella Carell Maria
* Gino Saltamerenda Baiocco
* Vittorio Antonucci Ladro
* Giulio Chiari Mendicante
* Elena Altieri Signora benefattrice
* Carlo Jachino un mendicante
* Michele Sakara Segretario
* Emma Druetti
* Fausto Guerzoni Attore amatoriale
Episodi:
Fotografia: Carlo Montuori
Montaggio: Eraldo da Roma
Effetti speciali: Musiche: Alessandro Cicognini
Scenografia: Antonio Traverso
Premi:
* Oscar al miglior film straniero (1950)
* National Board of Review Awards 1949: miglior film, miglior
regista
* British Academy Award per il "miglior film"
* Nel 1958 il film venne dichiarato come il terzo miglior film di
tutti i tempi dopo La corazzata Potemkin e La febbre dell'oro da una
giuria internazionale di critici in occasione dell' Esposizione
universale di Bruxelles.
:::->TRAMA<-:::
Roma secondo dopoguerra: Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), un
disoccupato, trova lavoro come attacchino comunale. Per lavorare, però,
deve possedere una bicicletta e la sua è impegnata al Monte di pietà,
per cui la moglie, Maria deve impegnare le lenzuola per riscattarla.
Sfortunatamente, proprio il primo giorno di lavoro, la bicicletta gli
viene rubata mentre incolla un manifesto cinematografico. Antonio
rincorre il ladro, ma inutilmente. Andato a denunciare il furto alla
polizia, comprende che le forze dell'ordine non potranno aiutarlo nel
ritrovare la bicicletta. Tornato a casa disperato e amareggiato,
coinvolge nella ricerca un suo compagno di partito che mobiliterà i suoi
colleghi netturbini che all'alba, insieme a lui e a Bruno, [1] che pure
così piccolo lavora da un distributore di benzina, andranno a cercarla a
Piazza Vittorio prima e a Porta Portese[2]poi, dove tradizionalmente
allora, e dicono anche oggi, andavano a finire le cose rubate.
Ma non c'è niente da fare, la bicicletta ormai smembrata nelle sue parti
non si trova. Per la disperazione Antonio si rivolgerà persino ad una
"santona", una sorta di veggente, che accoglie nella sua casa una varia
umanità afflitta e disgraziata. Il responso sibillino della santona è
quasi una presa giro: «O la trovi subito o non la trovi più».
A Porta Portese un vecchio barbone viene visto da Antonio insieme al
ladro, che subito si dilegua. Anche il vecchio vuole sfuggire a
Maggiorani che lo segue sino ad una mensa dei poveri dove dame di carità
della pia borghesia romana distribuiscono minestra e funzioni religiose
agli affamati. Antonio costringe il barbone a farsi dare il recapito del
ladro ma è solo per caso che s'imbatte in lui in un rione malfamato dove
tutta la delinquenza locale sostiene il ladro minacciando la vittima del
furto. Neppure il "buon carabiniere" - figura tipica e popolare
dell'uomo giusto ma benevolo - chiamato, vista la malaparata per il
padre, da Bruno può fare nulla, in mancanza di testimoni, per arrestare
il ladro.
Stravolti dalla stanchezza Antonio e Bruno aspettano l'autobus per
tornare a casa quando il padre vede una bicicletta incustodita che
tenterà di rubare ma sarà subito fermato e aggredito dalla folla. Solo
il pianto disperato di Bruno, che muove a pietà i presenti, gli eviterà
il carcere.
Il film si chiude sul mesto ritorno, mentre si sta facendo notte a Roma,
di Bruno che stringe la mano del padre per consolarlo.
:::->RECENSIONE<-:::
La storia del film
Dopo l'insuccesso commerciale di Sciuscià presso un pubblico abituato ai
film dei "telefoni bianchi" degli anni del ventennio fascista o ai
"filmoni" che venivano da Hollywood, De Sica volle a tutti i costi
realizzare questo secondo film al punto da investire i propri denari
nella sua produzione. Del romanzo originale come delle sceneggiature,
oltre sei più quella dello stesso De Sica, nel film non è rimasto nulla.
Il racconto alla fine sistemato da Cesare Zavattini mostra però la
traccia di queste numerose sceneggiature nella serie di quadri che
accompagnano la vicenda del protagonista. Sono dei bozzetti che vogliono
"realisticamente" mostrare al pubblico la vita italiana dell'immediato
dopoguerra. «Un ritorno alla realtà», così avevano detto i critici in
occasione della proiezione di "Sciuscià"; una realtà a cui voleva
tornare lo stesso De Sica dopo le sue esperienze di attor giovane
canterino nei film di Mario Mattoli e Mario Camerini degli anni trenta.
Aveva detto De Sica : «La letteratura ha scoperto da tempo questa
dimensione moderna che puntualizza le minime cose, gli stati d'animo
considerati troppo comuni. Il cinema ha nella macchina da presa il mezzo
più adatto per captarla. La sua sensibilità è di questa natura, e io
stesso intendo così il tanto dibattuto realismo» (cfr. “La Fiera
letteraria”, 6 febbraio 1948)".
Fu per questo, che il regista nonostante le grande difficoltà a reperire
fondi per la realizzazione del film, rifiutò i sostanziosi aiuti dei
produttori americani che però avrebbero voluto al posto di Maggiorani
addirittura Cary Grant.
Il pubblico del cinema Metropolitan di Roma non accolse bene il film,
anzi rivoleva indietro i soldi del biglietto. Tutt'altra accoglienza
alla proiezione del film a Parigi con la presenza di tremila personaggi
della cultura internazionale. Entusiasta e commosso, René Clair
abbracciò al termine del film De Sica dando il via a quel successo
mondiale che ebbe in seguito il film e con i cui proventi il regista
riuscì finalmente a pagare i debiti fatti con "Sciuscià".
Critica
Il film girato nell'ormai lontano 1948 può essere preso come un termine
di riferimento storico per un confronto della realtà sociale della Roma
dell' immediato dopoguerra, con quella di oggi, per capirne i difetti e
apprezzarla, se possibile, negli aspetti moderni.
Si è scritto unanimemente della grande interpretazione dei due
protagonisti - a cui certo contribuì in modo determinante la guida della
regia di De Sica - "presi dalla strada" ,come allora si diceva.
Ma in realtà c'è una terza protagonista nel film che è la città di Roma
con i suoi abitanti. È una Roma che, rappresentata nel bianco e nero
della pellicola ,appare nella sua grandezza non deturpata e resa piccola
dall'informe ammasso di veicoli e di varia umanità che oggi la
caratterizza. Le sue strade appaiono semivuote, larghe, caratterizzate
da una monumentalità oggi scomparsa: le sue vie e le piazze del centro
sono libere da quello strato informe di lamiere che nascondono la sua
grande architettura. Anche i rioni del centro, quelli allora ancora
proletari, appaiono belli nella loro struttura, povera e malandata ma
che richiama l'aspetto, quasi medioevale, di quelli che erano nelle età
passate, i quartieri della città. Persino l'estrema periferia dei
palazzoni popolari, ancora più campagna che città, conserva una forma
architettonica genuina, contadina che si riflette nelle fattezze e nei
modi dei suoi abitanti.(cfr. "Il Cinema, Grande storia Illustrata"
op.cit.)
L'estrema povertà del dopoguerra è quasi riscattata da questa originaria
autenticità di una città "pulita" nella sua architettura e nella
spontanea moralità dei suoi suoi cittadini. L'umanità romana presentata
nel film è fatta di gente che, nei suoi vari strati popolari , dai
compagni di partito di Maggiorani, ai netturbini, agli stessi malavitosi
di quartiere, ai postulanti della santona, alle dame di carità, al "buon
carabiniere", si caratterizza per uno spirito di partecipazione solidale
con gli altri, non è chiusa nella sua indifferenza, è aperta e genuina
come le strade e i palazzi della Roma di "Ladri di biciclette". È ancora
un'umanità che, come appare nelle scene corali del film, condivide le
sue necessità e miserie.
È un film che va visto oggi per capire le nostre differenze con il
passato.
Un'altra protagonista del film è la bicicletta, divenuta da mezzo
popolare di trasporto , un elemento vitale di sopravvivenza per il
protagonista del film. Le biciclette attraversano tutta la storia del
film, appaiono e scompaiono - o isolate o in mucchi, o integre o fatte a
pezzi - come un incubo agli occhi del piccolo Bruno e di suo padre. La
bicicletta rappresenta la tentazione che spinge Antonio a rubare, l'esca
con cui l'omosessuale di Piazza Vittorio attira il piccolo Bruno, la
perdita del lavoro e la disperazione finale di una povera famiglia che
aveva riposto in quell'umile oggetto tutte le sue speranze di
sopravvivenza.
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Generale
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Testo
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