INFO Titolo: Calvaire
Regia: Fabrice Du Welz
Sceneggiatura: Fabrice Du Welz, Romain Protat
Attori: Laurent Lucas, Jackie Berroyer, Philippe Nahon, Brigitte Lahaie, Jean-Luc Couchard, Jo Prestia, Olivier Gourmet, Philippe Grand'Henry Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Benoît Debie
Montaggio: Sabine Hubeaux
Musiche: Vincent Cahay
Produzione: MICHAEL GENTILE, VINCENT TAVIER E EDDY GERADON-LUYCKX PER THE FILM, LA PARTI PROD, TARANTULA, STUDIOCANAL
Paese: Belgio, Francia, Lussemburgo 2004
Genere: Drammatico
Durata: 90 Min
TRAMA La disavventura del cantante/animatore Marc Stevens inizia quando parte verso una nuova casa di riposo dove esibirsi e finisce per oltrepassare i confini di un villaggio in cui nessuno dovrebbe mai mettere piede. Qui, inizia il suo calvario: una via crucis fra individui psicologicamente instabili che hanno perso totalmente e collettivamente il contatto con la realtà, nel ricordo e nell'ombra di una donna (forse l'unico individuo di sesso femminile di tutta la comunità) che li abbandonò nottetempo.
Ecco cosa è Calvaire: grottesca e surreale opera prima – scritta assieme allo sceneggiatore Romain Protat - di un regista che fino a ora si era occupato di animazione e cortometraggi. È una questione di cattiveria, Calvaire, di crudeltà e di scorrettezze fisiche all'ennesima potenza. Alcune persino troppo truci per lo spettatore (la scena del sesso orale con il vitello, per esempio). Presentato in concorso alla 43ma "Semaine Internationale de la Critique" di Cannes 2004, con uno stile che sfiora appena la volgarità visiva, si trasforma nel trampolino di lancio di questo talentuoso autore che gioca, in perfetto equilibrio, fra il cinismo e il candore che si riflettono negli sguardi degli abitanti del villaggio. È un film che fa male, perché parla di una realtà che non sa confrontarsi con il protagonista, il quale non riesce a comunicare con essa. Sono l'impotenza del giovane cantante, la sua mancanza di reazioni e la sua sfortuna a provocarci il dolore più atroce e, noi spettatori, grazie allo strano paragone presente anche nel titolo del film, assistiamo alla sua crocifissione inermi. Esattamente come, duemilaequattro anni prima, il popolo ebraico aveva assistito a quella di Gesù Cristo.
Dopo una prima parte un po’ statica e avvilente, la cinepresa diventa più dinamica, accompagnata da un montaggio più svelto e vorticoso, che scommette tutto su inquadrature sbilenche e piccole soggettive. A fare la parte del leone è però l'ottima fotografia livida di Benoît Debie che dà il meglio di sé nella scena del surreale ballo nel bar, che il regista ha dichiarato essere un esplicito omaggio a uno dei suoi film preferiti Una sera… un treno (1968) di André Delvaux.
Ironicamente, potremo dire che Calvaire è l'incrocio fra Psyco (1960) di Alfred Hitchcock e… i Puffi, ma solo una volta che Puffetta è deceduta! Immaginatevi Marion Crane che finisce nell'albergo di Norman Bates, ma sfugge all'omicidio della doccia e va a chiedere aiuto alle case che sorgono nei pressi dell'hotel maledetto, scoprendo però che i "vicini di casa" non sono altro che copie dell'albergatore assassino, con qualche piccola variazione del carattere o nella fisionomia.
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