Titolo Originale: Der Name der Rose Nazione: Germania/Italia/Francia Anno:1986 Genere:Thriller Durata:130 minuti
Soggetto:dal romanzo “Il nome della rosa” di Umberto Eco Sceneggiatura: Andrew Birkin, Gérard Brach, Howard Franklin e Alain Godard Montaggio: Jane Seitz Musiche: James Horner Fotografia: Tonino Delli Colli Scenografia: Dante Ferretti Costumi: Gabriella Pescucci Produzione: Cristaldifilm/Neue Constantin Film/Films Ariane Distribuzione: Cecchi Gori Data di uscita: settembre 1986(al cinema)
La trama del film ricalca più o meno fedelmente la trama del romanzo. Nel 1327, alcuni terribili omicidi sconvolgono un'abbazia benedettina sperduta sui monti del Nord-Italia. Nel monastero dovrà svolgersi un importante concilio francescano a cui è chiamato a partecipare il dotto frate Guglielmo da Baskerville (Sean Connery). Nel contempo, l'abate affida a Guglielmo le indagini degli omicidi in virtù della sua esperienza di inquisitore, senza dimenticare le vociferazioni sull'Anticristo che da sempre circolano nell'abbazia. Il francescano, insieme al suo giovane novizio Adso, si ritrova in un ambiente ostile, un'abbazia piena di libri e di cultura ma anche segreta e spaventosa, su cui dovrà indagare prima dell'arrivo della Santa Inquisizione.
C'era una volta un professore che aveva inventato la comunicazione, piacque molto alla gente perché era capace di portare tutti in quel purgatorio meraviglioso dove la vecchia e sospetta divulgazione diventa cultura. Ma se tutto è comunicazione, perché non raccontare il pensiero come un romanzo giallo? E perché non suggerire che la storia della cultura è effettivamente un giallo dove ogni conoscenza si misura su un adeguato numero di delitti? Il professore, Umberto Eco, scrisse Il nome della rosa, giallo medievale con frati, streghe e libri proibiti, fu un successo senza frontiere, sono uguali i meccanismi della seduzione che gli studiosi esercitano sugli aspiranti colti. Ma come tradurre, inevitabilmente in cinema, la finzione di una storia così ben costruita da sembrare un romanzo tradizionale? Dove mettere l'ironia e i commenti dell'autore? Stava per capitare a Eco il destino cinematografico di Alessandro Manzoni; i film dai Promessi sposi sono santini popolari di povere ragazze, frati buoni e monache cattive, senza alcun pensiero manzoniano per la testa. Arrivò a fare l'esecutore del tradimento obbligatorio il regista Jean Jacques Annaud (La guerra del fuoco), che era abbastanza intelligente e preparato per capire due cose: 1) Dalla trama avrebbe ricavato solo una buia storia di convento, buona però per far scattare nel pubblico il meccanismo di riconoscimento. 2) Del pensiero ironico di Eco, dell'ideologia della cultura come avventura avrebbe dovuto fare a meno per sostituirvi una propria visione sessantottesca del medioevo, più facile da tradurre in azione: canaglie contro popolo, frati contro contadini, inquisitori infami vivaddio puniti.
Possiamo immaginare altri modi (non molti) di tradurre Il nome della rosa, ma intanto il film di Annaud è qui, con la sua scelta definitiva: una buia storia di convento un poco artificiosa, tanti frati uccisi cupamente perché il riso non entri nel mondo, portatore di disordine e di disubbidienza (attraverso il libro di Aristotele sulla commedia custodito in un recesso della biblioteca conventuale), un vile processo di inquisizione con due innocenti condannati per reati di pensiero e una ragazza mandata al rogo perché ha fatto l'amore, e finalmente la vendetta degli umili servi della terra, la ragazza salvata, il giudice diabolico spinto in una scarpata col suo carro. Certo, è un finale che non c'è nel libro e non è in regola con gli studi storici, ma è l'apporto di Annaud per giustificare, anzi giustiziare quel medioevo.
Se il libro lasciava sornionamente al lettore ogni possibile interpretazione attuale dei fatti, Annaud s'è presa la sua soddisfazione in modo praticamente autorizzato, nella sostanza se non nei modi. Sono molto imbarazzanti e non suonano propriamente a vanto dell'edizione italiana (anche se non cambiano la scelta di Annaud) gli aggiustamenti produttivi dell'ultima ora, qualche taglio, qualche frase modificata e aggiunta per dire che i conventi ebbero una grande importanza nella conservazione della cultura e che non erano centro di delitti e sopraffazione sui poveri, che le dispute tra ordini e le eresie non erano fenomeni oziosi. Sacrosanta verità se si trattasse di un film storico e, comunque, non sarebbe stato più onesto il vecchio metodo della didascalia finale, lasciando ad Annaud le sue responsabilità? Come in tutti i film che ambirebbero a essere anche libelli (contro il clero, contro il potere, contro la cultura per pochi), i personaggi più riusciti sembrano i cattivi: non il prudente e saggio Sean Connery, l'invecchiato James Bond, frate indagatore col suo novizio Adso (certo, antenati di Sherlock Holmes e Watson), ma il malvagio inquisitore Murray Abraham, antenato di tutti i bugiardi assassini. E capace col suo cinismo e la sua infamia di far ricredere, mentre crepitano le fiamme del rogo, anche un povero eretico pentito, che rilancia un proclama di guerra alla chiesa dell'Inquisizione. E capace di comprendere, ormai in fuga, solo il linguaggio osceno della paura. (Si capisce che per Annaud Eco è sempre più lontano, e che il libro di Aristotele sul riso s'è proprio perso tra i delitti dell'abbazia) .
Stefano Reggiani - Da La Stampa, 17 ottobre 1986
Premi: * 2 Orange British Academy Film Awards: miglior attore (Sean Connery), miglior trucco
* 1 Bayerischer Filmpreis: miglior produzione
* Premi César 1987: miglior film straniero
* 4 David di Donatello 1987: migliore fotografia, migliori costumi, miglior produzione, migliore scenografia
* 1 Deutscher Filmpreis: miglior attore (Sean Connery)
* 1 Goldene Leinwand
* 3 Nastri d'Argento 1987: miglior fotografia, migliori costumi, miglior scenografia
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