Titolo: The firebird Anno: 2004 Genere: Classica Etichetta: mercury Living presence
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[Fireworks - Fantasy for Orchestra (1909) [3:57] The Firebird - complete ballet (1910) [41:12] Tango (1940 rev 1953) [3:31] Scherzo à la russe (1944) [3:50] The Song of the Nightingale - symphonic poem (1917) [21:56]
London Symphony Orchestra/Antal Dorati Rec. Watford Town Hall 7 June 1959 (Firebird); 22, 24 June 1964 (Nightingale); 27 June 1964 (Fireworks; Scherzo); 7 July 1964 (Tango). ADD SACD reviewed in CD mode MERCURY LIVING PRESENCE 470 643-2 [76:47]
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Stravinsky, The firebird ballet in two scenes, con l’orchestra di Londra diretta da Antal Dorati, stampato su vinile Queix SV-P da 200 g. La registrazione
risale al periodo d’oro della musica ed è stata effettuata da Wilma and Robert Fine al Watford Town Hall con l’utilizzo di tre microfoni unidirezionali e un mixer a
tre canali che hanno permesso di ottenere un suono di alto livello qualitativo. Il master è stato trasferito con cura da Bernie Grundman
Questa è la ristampa fatta nel 2004 in versione superaudiocd
Tutte le estati la nobile famiglia di origine polacca degli Stravinsky si trasferiva dalla residenza abituale, Pietroburgo, a un piccolo paese del golfo di Finlandia,
Oranienbaum. Qui nacque il 18 giugno del 1882 (il 5 secondo il calendario giuliano delle confessioni greco-ortodosse) Igor Stravinsky. Egli stesso ci ha tramandato
molti delicati ricordi della sua infanzia e maturi ripensamenti sugli incontri, i fatti, le parole e i momenti importanti della sua vita. Noi seguiremo dunque passo
dopo passo le « Cronache » e i racconti di un uomo che trabocca di amore per la vita, per le cose vere, per la musica che lo fa entrare in comunione con gli uomini e
con il Padre.
Quello che più gli piaceva della Russia, la terra che gli resterà sempre nel cuore, nonostante i suoi pellegrinaggi fra Europa e America, era « la violenta primavera
che sembrava cominciare in un'ora, ed era come se la terra si spaccasse in un meraviglioso evento » .
La sua infanzia trascorse sotto le ali di una famiglia autoritaria e aristocratica, ben poco religiosa, al di là di pratiche abitudinarie. Stravinsky ricorda la sola
vera solennità che lo coinvolgeva, la festa dell'Epifania quando lo zar battezzava nella Neva gelata una grande croce, con la gente inginocchiata sulla neve e sul
ghiaccio a recitar preghiere. « Un bambino non si chiede perché la vista dei gabbiani possa commuoverlo così profondamente, ma un uomo anziano sa che essi rammentano
la morte e così anche allora quando li guardavo sulla Neva un pomeriggio d'inverno, a sette o otto anni. Non so, com'è che un uomo diventa vecchio? Per tutta la vita
ho pensato a me stesso come al "più giovane" e ora improvvisamente sento parlare di me come "il più vecchio". E allora rivado con stupore a queste lontane immagini di
me stesso. Mi chiedo se la memoria sia verità e so che non può esserlo, ma so che nonostante ciò si vive di ricordi ».
Ed ecco anche le riminiscenze musicali, affascinanti e riposanti canzoni contadine che il piccolo Igor riproduceva con grande facilità, testimoniando una musicalità
precoce, ma non eccessivamente incoraggiata. Eppure in casa sua si respirava già aria di musica. Il padre era basso all'Opera Imperiale di Pietroburgo, grande
occasione per Igor di assistere ai più importanti spettacoli dell'epoca: quale emozione il fugace incontro con Ciaikovskij nel foyer, due settimane prima della sua
dipartita! Igor ebbe poi le sue brave lezioni di pianoforte e ben presto cominciò ad improvvisare, annoiato dagli esercizi ripetitivi e meccanici. Appena in grado di
leggere a prima vista saccheggiò letteralmente la biblioteca paterna di spartiti d'opera. Poi arrivarono con scarsa soddisfazione le lezioni di armonia, mentre la zio
Jelatcic, l'unico che incoraggiava la sua attitudine, la iniziava alla musica sinfonica tedesca e il suo amico Ivan gli apriva gli orizzonti di quella francese. Poi la
facoltà di diritto dell'Università di Pietroburgo, frequentata a malincuore per obbligo dei suoi che continuavano a non capire la sua inclinazione: in fondo però il
problema della vocazione non si era davvero posto neanche a Igor ed egli continuava il suo lavoro di apprendistato musicale senza ben sapere dove sarebbe arrivato.
L'ambiente universitario gli portò un regalo inaspettato, l'amicizia del figlio di Rimsky-Korsakov. E, alla prima occasione, Stravinsky sottoporrà con trepidazione al
grande maestro i suoi timidi tentativi di composizione. Non troppi elogi, ma l'incoraggiamento a proseguire nello studio, fuori, però, dal chiuso ambiente del
Conservatorio. Igor intanto partecipava con entusiasmo alle « Serate di musica contemporanea » e tutto ciò che di nuovo e a volte affascinante vi udiva,dava forza alla
sua voglia di comporre, al desiderio di andare fino in fondo. Rimsky l'estate dopo, il 1903, lo fece lavorare al suo fianco, iniziando così un regolare rapporto
maestro e discepolo: sarà per sempre l'unico insegnante da ritenere veramente tale. Morto lui, nel 1908, Stravinsky andrà avanti da solo, sfidando quasi se stesso e i
semi che sentiva prossimi a sbocciare. Sposata la cugina Catherine, continuava a comporre regolarmente, mentre qualcosa già bolliva in pentola.
Serge de Diaghilev, uno dei più entusiasti ed intelligenti animatori della vita artistica e culturale russa di quel tempo, ascoltò ad un concerto il suo Scherzo
fantastico. Subito pensò che quella era la persona adatta ad orchestrare alcuni brani di Chopin per il balletto Le Silfidi da presentare a Parigi. Quello con Diaghilev
fu un incontro dall'apparenza casuale, eppure destinato ad avere un'importanza decisiva per la svolta che diede alla sua attività compositiva. Un incontro, come i
molti che sarebbero seguiti, che gli aprì spazi nuovi, gli rivelò capacità impreviste, direzioni sicure, essendo lui capace di cambiare l'altro e di farsi cambiare
quando la verità non risplendeva abbastanza. Diaghilev, l'infaticabile rinnovatore ed animatore dei balletti russi, diverrà così prima di tutto un amico con cui
confrontare scelte non solo musicali, ma di tutta la vita. D'ora in poi Stravinsky accetterà solo rapporti così. Diaghilev l'anno dopo gli commissionò il primo
balletto tutto per lui, l'Uccello di Fuoco, spaventandolo con una precisa scadenza cui non era ancora abituato. Ma il rigore e la costanza non gli mancavano certo:
anche negli anni più duri della guerra, dell'esilio, anche in viaggio, Stravinsky non smise mai di mettere nota su nota per dare corpo alle sue idee musicali.
L'Uccello di Fuoco andò in porto e, dunque, ecco subito nuove proposte e idee di balletti, e il fecondo scambio di idee con Diaghilev; ma anche l'interruzione di molte
settimane per una malattia che lo portò alle soglie della morte e lo costrinse al silenzio. Buona parte del lavoro avveniva ad Ustilog, il suo « rifugio per comporre
», a ben due giorni e mezzo di viaggio da Pietroburgo: la popolazione del villaggio era « una comunità ebraica alla Chagall, tranquilla e affettuosa e molto religiosa
». In questo clima nacque buona parte di capolavori come Petruska e La Sagra della Primavera. Stravinsky ricordava ancora incredulo lo scandalo suscitato dalla « prima
» a Parigi nel '13: da parte sua non c'era stata, come mai sarebbe accaduto, alcuna intenzione di colpire a sproposito gli ascoltatori. Sarebbe sempre rimasto lo
stesso, anche su strade diverse, anche adoperando linguaggi nuovi, o i più antichi che ci siano: non la moda o il capriccio, ma la musica che sentiva sua al punto da
non appartenergli più.
Il lavoro spesso veniva interrotto, se così si può dire, tale era l'arricchimento che gliene veniva, da molti viaggi con l'amico Diaghilev. Una puntata a Bayreuth per
ascoltare il Parsifal di Wagner, disgustato dal sacrilego contorno di birra e tedeschi salsicciotti e dalla falsa atmosfera sacrale che nulla aveva a che fare con la
vera spiritualità. Poi a Berlino per ascoltare senza troppo entusiasmo Schonberg, il maestro dell'avanguardia viennese, e a Parigi l'incontro con molti musicisti del
suo tempo, la sintonia con Debussy, la simpatia per Ravel. E l'ultimo viaggio a Pietroburgo, senza immaginare che sarebbe stato separato per tanto tempo dalla sua
città (fu solo una trionfale tournée nel '62 a riportarlo in patria): « Pietroburgo fu talmente parte della mia vita che ho quasi paura a rovistare oltre in me stesso,
per timore di scoprire quanto di me le sia tuttora legato, perché questa è la città cara al mio cuore più di qualunque altra al mondo ».
L'ultimo periodo in Russia, nonostante un'altra malattia, ancora occasione di silenzio e riflessione, la passò a raccogliere melodie e testi popolari della sua terra.
Ma già da qualche tempo Stravinsky aveva scelto Clarens in Svizzera come luogo di riposo: nel ritornarvi sul finire del '14 aveva presentito i fermenti che agitavano
l'Europa. Lo scoppio della guerra lo trovò nel suo rifugio svizzero, ancora una volta a contatto con amici che non solo lo aiutavano ad andare avanti e a credere nella
vita, ma sarebbero stati poi solidali compagni d'avventura.
L'incontro più importante di questo periodo è certo quello con Charles Ferdinand Ramuz scrittore e poeta. Nacque dalle cose di tutti i giorni, dal pane e dal vino
condiviso, nello sdrammatizzare il ruolo del poeta e del musicista « specialista », perché la musica come la poesia sgorga da tutto, dall'amore per ciò che è vivo e
vero. Così la loro amicizia, come sempre accade, cominciò da un lavoro gomito a gomito, quello di Renard e delle Noces, alle prese con una lingua, come la russa, così
difficile da tradurre nel francese con i suoi accenti ritmici e le sue inflessioni. Ramuz intuiva « la possibilità di un lavoro in cui interviene una benedizione e la
collaborazione con Qualcuno, la possibilità di ritorno, di ritrovarsi ». Fra i due si stabilì dunque un intimo accordo, un rapporto libero e sincero che Ramuz ha
ricordato con molta commozione: « Quando parlavamo dei nostri due paesi era davvero un unico paese, perduto, poi ritrovato, perso di nuovo e poi ritrovato per un
istante, dove si ha in comune un Padre e una Madre, dove la grande parentela degli uomini si intravvede per un momento. E tutte le arti tendono in fondo a
riappropriarsene ».
Con Ramuz e altri amici Stravinsky, definitivamente tagliato fuori dalla Russia dalla rivoluzione del '17, visse l'avventura déll'Histoire du Soldat, che li unì
nell'entusiasmo e nella speranza in tempi così difficili e calamitosi: pochi musicisti, attori e mimi, spese modestissime per uno spettacolo da fare girando per le
piazze e i teatrini. Eppure ancora una musica nuova, unica e imprevedibile. E nemmeno la febbre spagnola che sconvolse tutti i progetti riuscì a cancellare quella
solidarietà.
Alla fine della guerra Stravinsky riprese il suo pellegrinare per l'Europa. A Parigi il vecchio Diaghilev mai dimenticato gli propose un nuovo balletto su musiche «
inedite » di Pergolesi. Si buttò dunque nella tradizione, non per tornare indietro, come lo accusavano, ma per proseguire il suo lavoro e il suo cammino: e sarà il
Pulcinella del '20. « La musica ci è data per mettere un ordine nelle cose, bisogna passare da uno stato anarchico e individualista a uno stato perfettamente
cosciente, pieno di garanzie di vitalità e di durata».
E ancora incontri che aprono la mente e il cuore, nella voglia di comporre, di comunicarsi. Fabio Picasso, Paul Valéry, Jean Cocteau che scrisse per lui il libretto
dell'Oedipus rex, tradotto in latino da Jean Danielou. L'ambiente mondano di Parigi non lo contaminò: in pubblico appariva solo a dirigere o interpretare, come sempre
più spesso gli veniva voglia di fare, le sue nuove composizioni. Ma un altro grande fatto accadeva in quel periodo: il ritorno alla Chiesa e alla fede, dopo decenni di
abbandono e freddezza: «Non fu per ragionamento. Già da qualche anno prima della conversione avevo coltivato uno stato d'animo di accettazione, leggendo i Vangeli
e la letteratura di argomento religioso. Tornai alla chiesa russa piuttosto che a quella romana, perché mi sentivo legato a quella lingua, a quelle preghiere che
appartenevano atta mia infanzia» .
Nel 1939 una nuova guerra si abbatteva sul mondo mentre Stravinsky si trovava negli Stati Uniti. Lui rimase lì perché amava la pace e gli si prospettava una vita
finalmente priva di preoccupazioni materiali. E che importa se si stabilì in una lussuosa villa a Hollywood? Era sempre l'inarrivabile e istancabile artigiano della
musica, come amava definirsi, colui che scriveva, adesso, alla gloria di Dio, ancora a provare nuove tecniche, nuovi linguaggi da far diventare completamente suoi.
Sempre più largo spazio ebbe da allora la musica religiosa, scritta con lo sguardo fisso all'icona del Cristo e il pensiero alla sua divinità. «Senza la Chiesa,
lasciati alle nostre proprie forze, siamo depauperati di molte forme musicali. Per comporre musica sacra non occorre semplicemente essere credenti in figure
simboliche, ma nella persona del Signore, nella persona del demonio e nei miracoli della Chiesa».
Nel 1962, con la seconda moglie (Catherine era morta da tempo) ebbe la gioia, nonostante i dissapori con il regime, di ritornare in patria, di rivedere la sua terra,
la sua città dal volto e dal nome cambiati. Il lavoro poi continuò, sempre un passo dietro l'altro, anche nella vecchiaia, sostenuto da una forza che non gli
apparteneva più, ancora confortato da incontri e amicizie, come quella del pittore William Congdon, del poeta Dylan Thomas, che morì con suo grande dolore pochi mesi
dopo la loro conoscenza, di Robert Craft, luminoso testimone della grande ricchezza spirituale del maestro.
Il 6 aprile del '71 a New York finì la sua vita terrena. Volle essere sepolto nel piccolo cimitero di S. Michele in Isola a Venezia, la città che tanto lo commuoveva e
dove già riposava dal '29 l'amico Diaghilev. Mentre era ancora in vita, un giorno gli era scivolata fuori da un libro che aveva con sé proprio l'icona di S. Michele:
l'aveva interpretato come un segno a cui essere fedele. La morte lo condusse nella pace che ormai da anni guidava tutta la sua vita.
La sua opera« L'opera compiuta si diffonde per comunicarsi e poi rifluisce verso il suo principio »
Quando si accosta all'opera di un musicista, la critica ufficiale si munisce di strumenti di analisi spesso raffinati, usa schemi e modelli di lettura
codificati e ritenuti ormai consacrati dalla loro vasta diffusione, nonché applicabili a qualunque fenomeno musicale. Avviene insomma un tipo di lettura che possiamo
definire « ideologica » in quanto pone in primo piano il proprio metro di giudizio rispetto all'opera viva e concreta dell'artista. Se l'artista in questione
appartiene al XX secolo e in particolare si chiama Stravinsky, una critica siffatta ha di fronte a sé un ostacolo insormontabile, per cui o escono giudizi stereotipi e
immotivati, oppure converte il proprio metodo a favore di un incontro attento e reale con il musicista. Il concetto di parabola artistica « progressiva » e lineare non
tiene con Stravinsky, come pure cadono per astrattezza le divisioni di comodo in generi, forme e periodi.
Il ritornello che si sente ancor oggi appena si nomina Stravinsky, insegna anche al profano a dividere la sua produzione musicale in tre fasi, inspiegabilmente
contrastanti fra loro, cui viene applicata un'etichetta di stampo politico-progressista che da questo risultato: prima fase, denominata « russa », con Stravinsky
avanguardista, sperimentatore di nuove tecniche e dunque innovatore; seconda fase, detta « neoclassica », che vede, ahimè, l'autore volgere le spalle alla moda del
progresso per accostarsi a modelli del passato, con atteggiamento allora reazionario; terza fase, « dodecafonica e seriale », per via della tecnica compositiva più in
voga nel novecento, cui finalmente Stravinsky, con gran sollievo della critica, si converte per servire di nuovo il progresso.
In realtà, se ci lasciamo guidare dal musicista nel ripercorrere il cammino delle sue opere, scopriremo insufficiente e calata dall'alto simile periodizzazione.
Vedremo in lui una forte e precisa identità, con una personalità libera nell'accogliere tutto ciò che incontra e riconosce come possibilità di positivo incremento
della propria vita ed esperienza artistica. Una visione del mondo che non censura nulla, lo portava ad essere affascinato e colpito dalle cose e dagli eventi che
incontrava, in una genuina posizione di attesa che la verità si manifestasse, per poterla servire ed esprimere nella propria arte. In tal senso fu per lui naturale il
rapporto con la musica popolare russa, la tradizione classica settecentesca, la tradizione religiosa, che fu in lui sempre più presente, determinando la genesi e lo
stile delle opere succedute alla conversione.
Una conoscenza come stupore, un gusto per le cose senza preconcetti sta alla base del suo atteggiamento di ricerca che davanti a una scoperta non gli farà mai dire «
bella cosa, però non c'entra con quel che voglio fare io », ma lo spingerà a prenderla con sé, vedendo in essa un dono inaspettato, certamente non programmato. In
effetti, la sua musica non è determinata da un progetto o da una teoria a senso unico, ma da una serie di incontri con colleghi, amici, musicisti del passato, che
riscopre con gioia, perfino con strumenti « rari » o generi musicali che gli capita di accostare.
C'è in Stravinsky, poi, una estrema libertà rispetto al genere e alla forma delle opere che man mano componeva, e infatti ogni pezzo è diverso dagli altri, utilizza
tecniche e insiemi strumentali sempre differenti. Tale fenomeno non è così frequente tra i musicisti come si potrebbe pensare; e soprattutto oggi succede che, una
volta trovata la « formula » di successo, il compositore la usi come cliché di riproduzione per tutte le sue opere, coprendo con una abilità puramente tecnica vuoto di
idee e mancanza di ricerca; tra i contemporanei, chi tenta di creare in ogni opera un fatto diverso è forse il tedesco K. Stockhausen, del quale Stravinsky si
interessò.
Robert Craft, che fu suo segretario, afferma di lui che « è un uomo che fa, non uno che pensa... e il comporre è per lui un fatto naturale ». Infatti, osserva
Stravinsky, la teoria « nella composizione musicale non esiste, è una concezione posteriore in quanto esistono le composizioni, dalle quali poi la si deduce ».
La sua reattività di fronte al fatto scontato, la sua in fondo pigrizia per gli studi e i procedimenti teorici, salvarono in lui la possibilità di composizioni
assolutamente originali, sostenute da un profondo intuito. Così spiega la sua insoddisfazione giovanile per gli studi di armonia: « Ho sempre preferito e tuttora
preferisco realizzare le mie idee e risolvere i problemi che si presentano nel corso del mio lavoro, esclusivamente con l'aiuto delle mie forze senza ricorrere a
procedimenti prestabiliti che facilitano, è vero, il compito, ma che occorre prima studiare e poi ricordare... ero troppo pigro per un tal genere di lavoro ».
Poste queste premesse, iniziamo il viaggio nell'Universo asistematico di Stravinsky, durante il quale troveremo sempre delle eccezioni, un succedersi di mondi a sé,
casi unici che non si ripetono, governati da leggi proprie e inestensibili.
Se l'esperienza più forte in gioventù furono gli studi con Rimsky-Korsakov, che gli trasmise un gusto brillante e sontuoso per l'orchestrazione, tale influsso si fece
sentire nelle prime opere: una Sinfonia in Mi b (1905-7) omaggio anche al sinfonismo di Glazunov, lo Scherzo fantastico (1907-8) dai colori strumentali quanto mai
accesi, influenzato dal simbolismo di Maeterlink e soprattutto Feux d'artifice (1908), ove la tensione sonora è ancora più forte.
Questa prima fase di « apprendistato » culmina nella prima opera veramente originale, l'Oiseau de feu (1909-10), balletto commissionato da Diaghilev per la stagione
dei «Balletti Russi» all'Opera di Parigi. Stravinsky provava una sincera ammirazione per la sua compagnia di ballo, che aveva dato un notevole impulso allo sviluppo di
una moderna scuola, dando piena autonomia a questo genere di spettacolo, rimasto per secoli elemento secondario nell'opera teatrale. Il lavoro del compositore si
svolgeva in stretto contatto con Diaghilev e il coreografo Fokin; del primo ammirava « il fiuto fuori classe, la straordinaria facoltà di cogliere di colpo la
freschezza e la novità di un'idea, e di entusiasmarsene prima di ogni ragionamento; era anche di spirito molto assennato, tuttavia se spesso commetteva errori, vi era
trascinato dalla passione e dal temperamento, due forze che lo dominavano ».
La prima rappresentazione a Parigi ebbe grande successo, Debussy in persona si congratulò con l'autore per la sua partitura, ove l'edonismo sonoro domina su tutto, con
riferimenti esoterici per un racconto della tradizione russa. Vi si narra del principe Ivan che grazie a una penna d'oro donatagli da uno splendido uccello, riesce a
distruggere l'incantesimo con cui il mago Katscei tiene prigioniere nel suo castello alcune fanciulle, tra cui la principessa da Ivan amata. Il protagonista vincitore
è accompagnato da una musica serena, diatonica, cioè armonicamente più semplice del cromatismo esasperato che caratterizza la figura del malvagio Katscei, con sonorità
aspre e cupe e ritmi irregolari, che richiedevano un notevole impegno ai ballerini.
Terminando la partitura dell'Oiseau, Stravinsky ebbe l'idea del Sacre, ma prima di abbordare tale lavoro, la cui realizzazione si presentava lunga e laboriosa, volle
divertirsi con un lavoro orchestrale in cui il pianoforte avesse una parte di primo piano. «Componendo questa musica avevo nettamente la visione di un burattino
subitamente scatenato che, con le sue diaboliche cascate di arpeggi, esaspera la pazienza dell'orchestra, la quale a sua volta gli replica con le minacciose fanfare.
Ne segue una terribile zuffa che, giunta al suo parossismo, si conclude con l'accasciarsi doloroso e lamentevole del povero burattino. Terminato questo bizzarro pezzo,
per ore e ore, passeggiando sulle rive del Lemano, cercavo il titolo che esprimesse in una sola parola il carattere della mia musica e, di conseguenza, la figura del
mio personaggio. Un giorno ebbi un sussulto di gioia. Petruska! L'eterno infelice eroe di tutte le fiere, di tutti i paesi! Era questo che volevo, avevo trovato il mio
titolo! ».
Le semplici e commosse parole dell'autore ci hanno descritto la genesi (come si vede per nulla ideologica) del secondo quadro di quello che, su insistenza entusiasta
di Diaghilev, sarà il balletto in quattro quadri Petruska, completato nel 1911 ancora in stretta collaborazione con ballerini e coreografo. Si rivela in Stravinsky una
unità concreta tra il fenomeno musicale e l'aspetto scenico del balletto, nel senso che la musica era subito sentita come movimento di danza determinando i contrasti
ritmici, le scelte e le contrapposizioni i strumentali. Questo non è che un aspetto della concezione di unità della vita, segno della validità dell'autore. Le vicende
passionali e drammatiche del burattino sono rappresentate con ironia affettuosa da una musica dirompente nel ritmo e nei colori, con armonie e melodie di stampo
orientale semplicistiche e continuamente ripetute (come avveniva nel folklore russo), sovrapposte tra loro, creando effetti di dissonanza particolarmente nella parte
pianistica, che ha anche un taglio percussivo. Successivamente nel 1921, Stravinsky trascrisse per pianoforte solo, tre movimenti del balletto Danza russa, La casa di
Petruska, La settimana grassa, che restano tra i pezzi più brillanti e difficili di tutta la letteratura pianistica del novecento.
Dopo la parentesi parigina, il musicista tornava in Russia per dedicarsi interamente al Sacre du printemps (La sagra della primavera) per il quale, anni prima, aveva
visto nella sua immaginazione « lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, che osservano la danza fino alla morte, di una
giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera ». Diaghilev pensò subito di affidare la coreografia del lavoro all'ottimo ballerino e
mimo Nijinsky, il quale si rivelò tuttavia incapace del nuovo compito, soprattutto per la completa ignoranza degli elementi della musica (con grande disperazione di
Stravinsky che tentava inutilmente in ogni modo di insegnargli qualcosa). I ballerini erano costretti a un superlavoro spesso caotico per rendere i movimenti ritmici e
a tale pressapochismo nella preparazione l'autore attribuisce il fiasco che il balletto ottenne alla prima del 28 maggio 1913 al Teatro dei Champs-Elisées di Parigi,
ove la musica pur imponente veniva coperta dal tumulto ostile del pubblico.
« Componendo il Sacre, mi raffiguravo l'aspetto scenico dell'opera come una serie di movimenti ritmici di estrema semplicità, eseguiti da compatti blocchi umani, di
effetto immediato sullo spettatore, senza minuzie superflue e complicazioni che tradissero lo sforzo. Soltanto la Danza sacra finale era destinata a una sola
danzatrice. La musica di questo pezzo, netta e definitiva, esigeva del pari una coreografia semplice e facilmente comprensibile. Ma qui Nijinsky la complicò. E
infatti, non è segno di incapacità il rallentare incoscientemente il tempo della musica per poter comporre passi complicati i quali in seguito diventano ineseguibili
al tempo prescritto? »
L'opera è ora senza dubbio la più importante musica del novecento, anche per la sua popolarità dovuta alle numerose esecuzioni concertistiche e incisioni
discografiche, ed è comunque un impegnativo banco di prova per ogni direttore che si accinga a tener testa a un'orchestra nella quale si scatenano masse sonore
genialmente contrapposte in senso spaziale e timbrico; ritmi ora meccanici (l'orchestra si trasforma in un grande orologio) ora irregolari, sovrapposti e con accenti
diversamente distribuiti che lacerano di continuo il discorso; intensità da un pianissimo degli archi battuti sulle corde dei violini, all'improvviso fortissimo dei
fiati esasperato dalle dissonanze e dal farli suonare ai limiti della loro estensione. Nessuno, neppure Stravinsky stesso, è riuscito a contenere con tale sapienza e
perfezione lo scatenamento delle forze sonore, né ha saputo creare una pagina più autentica negli anni seguenti.
Dopo aver completato nel 1914 col II e III atto l'opera Le Rossignol (iniziata prima dell'Oiseau), inizia la composizione delle Noces fino al 1917, la cui veste
strumentale sarà definita solo nel 1923 quando, dopo aver pensato prima a una grande orchestra poi a un insieme di strumenti meccanici, vide come « l'elemento vocale,
vale a dire soffiato, sarebbe stato sostenuto nel miglior modo da un complesso costituito unicamente da strumenti a percussione a suoni determinati e non determinati
».
In quegli anni componeva pure raccolte vocali per voce e strumenti, frantumando così l'orchestra in piccole formazioni e usando gli strumenti fuori dagli schemi
tradizionali nelle meno usuali possibilità sonore, segno ancora di una genuinità ed espressività scevra da ogni traccia di abitudine.
Da ciò nasce nel 1917 la burlesca cantata e suonata Renard, in cui Stravinsky fa uso del cimbalo ungherese, sentito suonare in un ristorante di Ginevra e di cui subito
si innamorò, dandogli nel lavoro un ruolo di primo piano: ancora una volta è un incontro, per i non musicisti « banale », a determinare la scrittura di un pezzo.
L'incontro e la collaborazione con C. Ramuz, e ancora una volta con la tradizione della fiaba russa di Afanasiev, diedero vita a quel gioiello che è l'Histoire du
soldat (1918). I sette strumenti rappresentativi delle varie famiglie (archi, legni, percussioni) nei registri acuto e grave, furono scelti per la ragione contingente
di dover portare in giro per l'Europa colpita dalla guerra un teatro ambulante su cui rappresentare le vicende di uno sfortunato soldato che si innamora di una
principessa, e tuttavia cade vittima del diavolo che alla fine lo porta via con sé. Malgrado la povertà dei mezzi e l'uso nella partitura di canzonette, marce,
ragtime, l'opera testimonia ancora il non rifiuto di Stravinsky a servirsi di materiali « poveri » per creare capolavori che molti anni dopo i vari Brecht, Weill,
Eisler e Dessau non eguaglieranno.
In quegli anni faceva la sua apparizione in Europa il jazz, che spinse il sempre attento Stravinsky a trasferirne alcune caratteristiche nella Piano rag music del
1919, nel Ragtime per undici strumenti e nell'Ottetto del 1932.
Nel 1919 scopre nel settecentesco napoletano Pergolesi « un musicista per il quale aveva sempre provato una simpatia e una tenerezza singolari ... La sua musica mi era
sempre piaciuta per il suo carattere popolare e per il suo esotismo di tipo spagnolo ». Fu questo amore che lo spinse a trarre da alcuni manoscritti incompiuti,
rinvenuti da Diaghilev, le musiche per il balletto Pulcinella, che fu per Stravinsky motivo di gioia nello scoprire « una prossima parentela spirituale e sensoriale »
con Pergolesi, mentre per la critica, occasione per lanciare anatemi tipo « dissacratore » o « reazionario ».
Dopo la briosa opera in un atto Mavra (1922), il grande oratorio Oedipus Rex (1927) su testo latino, l'altrettanto monumentale balletto su tema classico Apollon
Musagète (1927) e l'affettuoso omaggio a Ciaikovsky nel Baiser de la Fée (1926), nel 1930 giungiamo alla prima opera profondamente religiosa e dettata dalla recente
conversione al cristianesimo. La Symphonie de Psaumes composta per il 50° anniversario della Boston Symphony Orchestra utilizza « un complesso corale e strumentale in
cui i due elementi si trovino allo stesso livello, senza alcun predominio dell'uno sull'altro ... Il mio punto di vista coincideva con quello dei vecchi maestri della
musica contrappuntistica ... Quanto alle parole, le cercai in testi creati in modo particolare per essére cantati... la prima idea fu di ricorrere al salterio ». Vi è
ricreato un genuino spirito di preghiera, senza alcun « aspetto etnografico, storico o pittorico »: gran parte del pubblico restò perplessa e si rivelò dunque «
incapace a spiegarsi la ragione da cui ero stato determinato e che non destava alcun eco nella sua mentalità ».
Da questo momento numerose sono le composizioni di carattere religioso, ignorate o non spiegate dalla critica ufficiale. Tra esse la Messa del 1948 per soli, coro e
insieme di strumenti a fiato « composta non per esecuzione concertistica, ma per l'uso in chiesa. È liturgica e senza ornamenti (virtuosismi che ne intaccherebbero il
carattere raccolto). Musicando il Credo ho voluto solo preservare il testo in modo particolare; è una sorta di contatto con Dio. La musica liturgica è praticamente
scomparsa, la tradizione perduta », per questo la Messa di Stravinsky è un unicum nella musica d'oggi.
Altra grande opera è il Canticum sacrum del 1955 per tenore, baritono, coro e orchestra, in cui si fa uso della tecnica dodecafonica ideata decenni prima da Schönberg
e ripresa da Stravinsky in modo tutto personale.
Fra i lavori per balletto, ricordiamo ancora Jeu de cartes (1937), Orpheus (1948), Agon (1957); nel 1952 compone una stupenda Cantata su testi poetici di anonimi
inglesi del XV e XVI secolo.
L'unica grande opera teatrale di Stravinsky, caso a sé nella sua produzione e di tutto il novecento è Rake's progress (in italiano « La carriera di un libertino » su
testo del poeta americano Auden; il rifarsi a Rossini, Verdi, Mozart e in generale alle forme chiuse settecentesche quali arie, duetti, trii, concertati, ne fanno un
capolavoro che, se analizzato col metro (tendenzioso) del progresso, va certamente dimenticato, mentre se accostato col desiderio di ascoltare musica per cogliere
l'umano che c'è oltre il segno scritto ed eseguito, si rivela occasione per un incontro inaspettato, come tutta la musica di Stravinsky.