La Ricotta - Pasolini
by Bomboklaat
:::->Scheda del film<-:::
Titolo: La Ricotta Nazionalità: Italiana Anno: Ottobre/Novembre 1962 Genere: Pasoliniano Regia: P.P.Pasolini Produzione: Arco Film(Roma), Cineriz(Roma), Lyre Film(Parigi) Distribuzione: Cineriz Data di uscita: 04-07-1964 Cast:
Orson Welles: Il Regista
Mario Cipriani: Stracci
Laura Betti: La Diva
Edmonda Aldini: Un'altra Diva
Vittorio La Paglia: Il Giornalista
Maria Bernardini: Le Stipteuse
Rossana Di Rocco: Figlia di Stracci
in piú: Tomas Milian, Ettore Garolfo, Lamberto Maggiorani, Alasn Midgette,
Giovanni Orgitano, Franca Pasut.
:::->Trama<-:::
Stracci, che "interpreta" come comparsa la parte del ladrone buono in un film sulla Passione di Cristo che un pretenzioso regista (impersonato da Orson
Welles) che si autodefinisce marxista ortodosso sta girando su un enorme prato della periferia romana, è un sottoproletario perennemente affamato. La scena è
ingombra di decine di membri della troupe e di comparse, che in mezzo alla scenografia "sacra", alcuni ancora in costume da santo, ballano un twist
scatenato. Quando la sua povera e numerosa famiglia lo va a trovare sul set, Stracci dona loro il cestino del pranzo che gli spetta in quanto attore per
consentirgli di consumare un misero pasto in mezzo al prato, che assume il valore di una vera e propria eucaristia. Per non saltare il pasto, Stracci,
approfittando della confusione del momento di pausa, si traveste da donna e riesce a "rimediare" un nuovo cestino dalla produzone. Con infantile entusiasmo si accinge quindi a mangiarlo, al riparo da
tutti, in una piccola grotta poco lontano dal set. Ma dal set giunge l'ordine di presentarsi in scena, e Stracci a malincuore è costretto ad abbandonare il
suo cestino dietro un sasso. Quando torna, trova che il cagnolino della prima attrice del film ha divorato tutto il contenuto del suo cestino. Stracci,
sconsolato, piange a grandi lacrime come un bambino, e nella disperazione rimprovera il cane accusandolo di voler essere meglio di lui perché è "il cane de
'na miliardara". Nel frattempo sul set giunge la visita importuna e inattesa di un giornalista di "Teglie sera", che con fare deferente e complimentoso
avvicina il regista per un'intervista. Il regista risponde alle sue domande piene di retorico buonsenso di "uomo medio" con una feroce e beffarda ironia
intellettuale, che il cronista non è neppure in grado di cogliere. Dopodiché il regista recita una poesia davanti all'attonito giornalista, e con fermo
cinismo gli spiega perché, secondo la sua ottica "marxista", lui semplicemente "non esiste". Il giornalista, frastornato, se ne va dal set, e incontra
Stracci che, nei pressi della grotta, accarezza il cane della prima attrice. Notato l'insistente interessamento del giornalista per il cane, Stracci glielo
vende per mille lire, ripagandosi così del maltolto. Appena concluso l'affare Stracci si precipita a comprare un gigantesco pezzo di ricotta, con
l'intenzione di ingurgitarlo al riparo da tutti. Ma proprio mentre sta per cominciare il pasto, il "ladrone buono" è richiamato sul set dal megafono. Così,
Stracci, lasciata la ricotta nella sua grotta, viene legato sulla croce, e nell'attesa che sia pronto il set, assiste ad un improvvisato strip-tease di una
rubiconda attrice vestita da santa, mentre viene stuzzicato sulla sua fame dai membri della troupe. Quando tutto è pronto, la prima attrice pretende di
girare subito la sua scena, e la scenografia viene di nuovo smontata, per lasciare spazio alle interminabili riprese di un tableau vivant che riproduce la
Deposizione del Pontormo. Finalmente Stracci può tornare nella grotta a "strafogarsi" della sua ricotta. Mentre mangia con avidità, altre comparse e alcuni
tecnici, divertiti dal grottesco spettacolo della sua fame atavica, lo fanno cibare dei resti della scena dell'ultima cena, ormai già girata. Stracci, in
mezzo alle risa dell'improvvisato pubblico, mangia ogni sorta di cibarie senza battere ciglio. Nel frattempo, sul set arriva il produttore seguito dal
drappello della stampa specialistica: il gruppo assisterà alle riprese della scena della crocefissione della morte di Cristo, nella quale Stracci ha
addirittura una battuta: "Quando sarai nel regno dei cieli, ricordati di me". Al grido di "azione!" del regista, però, la scena non parte: Stracci, infatti,
è morto di indigestione sulla croce. Il regista, senza ombra di commozione, commenta: "Povero Stracci. Crepare... non aveva altro modo di ricordarci che
anche lui era vivo...".
da S. Murri, Pier Paolo Pasolini, Il Castoro-l'Unità 1995
I commenti
"Non è difficile predire a questo mio racconto una critica dettata dalla pura malafede. Coloro che si sentiranno colpiti infatti cercheranno di far credere
che l'oggetto della mia polemica sono la storia e quei testi di cui essi ipocritamente si ritengono i difensori. Niente affatto: a scanso di equivoci di ogni
genere, voglio dichiarare che la storia della Passione è la più grande che io conosca, e che i testi che la raccontano sono i più sublimi che siano mai stati
scritti", è una premessa che Pasolini stesso fa al suo film La ricotta. Un altro film fuori dagli schemi di una rappresentazione tradizionale e di una iconografia asservita. Un altro lavoro, dopo Accattone e Mamma Roma, nel quale
il fine primo dell'autore è quello di trasmettere messaggi politico-sociali; nel quale non sono da sottovalutare tuttavia alcuni elementi che cercherò qui di
seguito di mettere in luce. Vi sono alcuni segni "forti" della grande ricchezza culturale di Pier Paolo Pasolini: - le citazioni figurative (l'accostamento alla pala d'altare del Pontormo); - i richiami che ha inserito nel film (alcune sequenze accelerate sia nelle immagini sia nella musica ricordano il film muto e in particolare il primo
Chaplin, amatissimo da Pasolini); - l'utilizzo sempre sapiente della musica: un Dies Irae arcaico, un "Sempre libera degg'io" dalla Traviata di Verdi - titolo oltremodo significativo se solo
si consideri l'effettivo grado di libertà dei figuranti e di Stracci, il protagonista che recita la parte del Ladrone buono (e ancor più significativo se si
fa attenzione alla trasformazione subita da quest'ultimo brano: una grottesca, quasi parossistica accelerazione che trascina la musica in un irrefrenabile
accelerazione che si avvita su se stessa...). È il terzo film di Pasolini e in esso, ancora una volta, il registra privilegia una storia che fa capo agli strati più umili ed emarginati della società -
tutte le comparse, i generici, i figuranti del "film nel film" la cui storia viene narrata (e che rappresenta la Passione di Cristo) sono dei sottoproletari,
dei "morti di fame" in senso letterale, come ci dirà lo stesso Pasolini attraverso l'"enorme mangiata" di ricotta rappresentata quasi a conclusione del film
e della vita stessa di Stracci. Ma compare anche la borghesia, nei panni rozzi e volgari del produttore e del suo entourage. E viene anche "messa in scena"
l'"integrazione sociale" cui sembra essere pervenuto il regista "marxista" (interpretato da Orson Welles).
La pellicola fu sequestrata con l'imputazione di "vilipendio alla religione di Stato" (1963) e ne seguì un processo nel quale, tra l'altro, il Procuratore
della Repubblica Di Gennaro presentò ai "cattolici benpensanti" il film come "il cavallo di Troia della rivoluzione proletaria nella città di Dio". Sull'onda delle vicissitudini giudiziarie, al film saranno apportati alcuni tagli: le tre ripetizioni de "la corona!", lo spogliarello della generica
Maddalena, la risata del generico Cristo; si sostituisce l'ordine "via i crocefissi!" con "fare l'altra scena!", l'espressione "cornuti" con "che peccato",
la frase finale "povero Stracci, crepare è stato il suo solo modo di fare la rivoluzione" con "povero Stracci! crepare, non aveva altro modo di ricordarci
che anche lui era vivo"! Soltanto nel maggio 1964 la Corte d'appello di Roma, accogliendo il ricorso di Pasolini, assolverà il regista perché "il fatto non costituisce reato". Le critiche e le motivazioni della persecuzione giudiziaria, come Pasolini stesso aveva previsto, erano dettate dalla malafede. Pasolini aveva diretto, in effetti, attraverso questo film, un attacco frontale nei confronti della borghesia e questo era il motivo vero che scatenò ancora
una volta la canea nei suoi confronti. Il senso di questo attacco è contenuto essenzialmente nelle parole qui sotto riportate, pronunciate dal regista-Orson Welles e dirette al giornalista che gli
chiede una intervista: "Che cosa vuole esprimere con questa sua nuova opera?" "Il mio intimo, profondo, arcaico cattolicesimo." "Che cosa ne pensa della società italiana?" "Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d'Europa." "Che cosa ne pensa della morte?" "Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione" Il regista-Orson Welles, dopo aver letto una poesia ("Io sono una forza del passato...), tenendo tra le mani il libro Mamma Roma, dice infine al giornalista
(mentre quest'ultimo idiotamente ride): "Lei non ha capito niente perché lei è un uomo medio: un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista.
Lei non esiste... Il capitale non considera esistente la manodopera se non quando serve la produzione... e il produttore del mio film è anche il padrone del
suo giornale... Addio."
In un breve scritto del 1961, infine, Pasolini così si espresse: "Nulla muore mai in una vita. Tutto sopravvive. Noi, insieme, viviamo e sopravviviamo. Così anche ogni cultura è sempre intessuta di sopravvivenze. Nel caso
che stiamo ora esaminando [La ricotta] ciò che sopravvive sono quei famosi duemila anni di "imitatio Christi", quell'irrazionalismo religioso. Non hanno più
senso, appartengono a un altro mondo, negato, rifiutato, superato: eppure sopravvivono. Sono elementi storicamente morti ma umanamente vivi che ci
compongono. Mi sembra che sia ingenuo, superficiale, fazioso negarne o ignorarne l'esistenza. Io, per me, sono anticlericale (non ho mica paura a dirlo!), ma
so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo: io coi miei avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse
sono il mio patrimonio, nel contenuto e nello stile. Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me: se lasciassi ai preti il monopolio del Bene".
Citazioni tratte da Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte Garzanti, Milano.
La ricotta è un episodio del film RoGoPaG, prodotta da Alfredo Bini, il quale, deponendo al processo per vilipendio contro la religione dello Stato,
intentato dal P.M. Di Gennaro contro Pier Paolo Pasolini, disse: "Il film è composto di quattro episodi. Il filo conduttore è costituito dai diversi aspetti di uno stesso fenomeno, il condizionamento dell'uomo nel mondo
moderno. Il primo regista, Rossellini, si occupava del condizionamento dell'uomo nei suoi rapporti con la donna; il secondo, Gregoretti, si occupava del
condizionamento relativo alla tecnologia ; Godard prevedeva in un prossimo futuro piccolissimi fattori di degenarazione che avrebbero portato alla fine del
mondo senza scosse; Pasolini si occupava della maggior parte degli uomini non ancora in tale stato di condizionamento". La ricotta è, quindi, una denuncia della decadenza morale dell'uomo contemporaneo. Pasolini si serve di uno dei simboli del cristianesimo, la passione di
Cristo, per rappresentare, attraverso l'immoralità della troupe di quel set cinematografico, il vero Cristo: Stracci. Stracci ha una duplice funzione:
rappresenta il sottoproletario sacrificato al vuoto borghese, e rappresenta l'incarnazione reale e contemporanea del Cristo. Stracci viene sacrificato,
condannato a morte dalla ferocia di un mondo gretto e teso al consumo a tutti i costi. Dirà Pasolini di questo film: "L'intenzione fondamentale era di rappresentare, accanto alla religiosità dello Stracci, la volgarità ridanciana, ironica, cinica, incredula del mondo
contemporaneo. Questo è detto nei versi miei, che vengono letti nell'azione del film [...]. Le musiche tendono a creare un'atmosfera di sacralità
estetizzante, nei vari momenti in cui gli attori si identificano con i loro personaggi. Momenti interrotti dalla volgarità del mondo circostante. [...] Col
tono volgare, superficiale e sciocco, delle comparse e dei generici, non quando si identificano con i personaggi, ma quando se ne staccano, essi vengono a
rappresentare la fondamentale incredulità dell'uomo moderno, con il quale mi indigno. Penso ad una rappresentazione sacra del Trecento, all'atmosfera di
sacralità ispirata a chi la rappresentava e a chi vi assisteva. E non posso non pensare con indignazione, con dolore, con nostalgia, agli aspetti così
atrocemente diversi che una sì analoga rappresentazione ottiene accadendo nel mondo moderno". Pasolini fa largo uso di riferimenti a pittura e letteratura. Le Deposizioni del Rosso Fiorentino e del Pontormo vengono prese a esempi figurali; il Dies
Irae accompagna molte scene del film; Orson Welles recita una poesia dello stesso Pasolini. Il film è girato tra la via Appia Nuova e la via Appia Antica
presso la sorgente dell'Acqua Santa nell'autunno del 1963. Sullo sfondo le infinite distese dei palazzoni delle borgate romane, le stesse borgate di Ragazzi
di vita, di Tommasino, di Accattone, di Mamma Roma, la stessa umanità antropologicamente identificata con i sottoproletari, ma un diverso approccio
autobiografico e religioso. Quel set rappresenta per Pasolini il tempio invaso dai mercanti. Il film fu accolto con freddezza dalla critica, e la ragione va ricercata nelle parole di Moravia: "La chiave del mistero va ricercata, secondo noi, oltre
che nell'impreparazione culturale di molti critici, anche nella ingenua mancanza di tatto di Pasolini. Diamine: il regista nell'intervista dichiara:
'L'Italia ha il popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante d'Europa', ed ecco che scontenta così i partiti di destra come quelli di sinistra. Poi,
peggio ancora, Orson Welles rincara: 'L'uomo medio è un pericoloso delinquente, un mostro. Esso è razzista, colonialista, schiavista, qualunquista', ed
ecco scontentati tutti quanti. L'Italia del passato, infatti era il paese dell'uomo, in tutta la sua umanità; l'Italia di oggi, invece, è soltanto il paese
dell'uomo medio". Per quanto riguarda la partecipazione di Orson Welles nella parte del regista-marxista del "film nel film", dice al proposito Carlo di Carlo, aiuto alla
regia, insieme a Sergio Citti, dell'episodio: "Riguardo La ricotta ricordo quel rapporto per me abbastanza assurdo con Welles. Pasolini lo volle a tutti i costi - e giustamente - perché nessuno meglio
del 'mito' Welles poteva eprimere e rappresentare il regista (cioè il regista del film nel film). Welles accettò la parte solo per un fatto economico (non
sapeva neanche chi era Pasolini) chiese una cifra spropositata per un film così breve che fece rimanere in bilico la realizzazione de La ricotta per molto
tempo. Ma poi le sue condizioni vennero accettate. Orson Welles non sapeva mai nulla quando arrivava sul set. Si informava poco prima di ogni ciak cosa si
doveva girare, mi chiedeva le battute tanto per sapere, occhio e croce, di cosa si trattava, poi esigeva 'il gobbo'. L'italiano lo masticava abbastanza e
avrebbe potuto tranquillamente imparare le battute. La scena più vistosamente eclatante della sua partecipazione al film fu quando doveva recitare la
poesia di Pier Paolo: 'Io sono una forza del passato / solo nella tradizione è il mio amore...'. Allora Welles sulla sedia da regista venne posto al centro
di una collinetta con gli occhiali abbassati tanto che potesse leggere (senza che lo si notasse perché favorito dal controluce) l'enorme 'gobbo' che io gli
tenevo a una distanza di quattro metri e sul quale avevo trascritto la poesia".
MASSIMILIANO VALENTE
Citazioni tratte da Carlo di Carlo, Teoria e tecnica del film in Pasolini, a cura di Antonio Bertini, Bulzoni editore 1977.
:::->Scheda tecnica del DivX<-:::
Dimensione: 233MB Durata: 35min
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