Titolo originale: Sostiene Pereira
Autore: Antonio Tabucchi
1ª ed. originale: 1994
Data edizione: giugno 2003
Genere: Romanzo
Sottogenere: Storico
Casa editrice: Giangiacomo Feltrinelli editore Milano
Collana: La biblioteca di Repubblica - il novecento
Pagine: 190
Nato a Pisa il 24 settembre 1943, Antonio Tabucchi è considerato come uno dei più profondi conoscitori della lingua e della cultura del Portogallo. La sua passione per questi argomenti fu chiara fin dalla sua giovinezza: non è un caso che si laureò in Lettere con una tesi sul surrealismo portoghese.
Nella sua lunga carriera di insegnante di letteratura portoghese (insegna dal 1973), Antonio Tabucchi si è occupato soprattutto di Fernando Pessoa, colui che diede alla letteratura del suo paese rilevanza europea. Tabucchi tradusse molte opere del Pessoa e rimase colpito ed affascinato dal personaggio.
Iniziò l'attività di scrittore nel 1975 con il romanzo "Piazza d'Italia", cui fecero seguito varie raccolte di racconti (da citare, per il grande valore artistico, "Il gioco del rovescio" del 1981 e "Piccoli equivoci senza importanza" del 1985); ma è con i romanzi brevi che Tabucchi ottiene successo e fama a livello internazionale.
In particolare, due avranno molta fortuna, ed entrambi testimoniano l'amore che lo scrittore ha per il Portogallo e per Lisbona: "Requiem" del 1992 e soprattutto "Sostiene Pereira" del 1994, con cui vinse anche il premio Campiello. Il romanzo, pubblicato in Italia dalla Feltrinelli, è ambientato a Lisbona durante la dittatura di Salazar e narra le vicende appunto di Pereira, obeso e cattolico giornalista del quotidiano "Lisboa" che, dopo le avventure avute con il rivoluzionario di origini italiane Monteiro Rossi, diventa antifascista.
L'impegno civile e l'alone di mistero che pervadono lo stile letterario di Tabucchi sono stati confermati nelle sue ultime opere importanti: "La testa perduta di Damasceno Monteiro" del 1996 e soprattutto il romanzo epistolare "Si sta facendo sempre più tardi" del 2001.
Nel 2003 appare in libreria "Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori", sette testi di poetica, per la maggior parte inediti o inediti in Italia, che illuminano un pensiero, una parola, una suggestione presente nei romanzi dello scrittore.
Antonio Tabucchi collabora con i contenuti culturali del «Corriere della Sera» e del «País» ed è professore ordinario presso l'Università di Siena.
Tra le sue ultime pubblicazioni ricordiamo "L'oca al passo" (2006) e "Il tempo invecchia in fretta" (2009).
1975 - Piazza d'Italia 1978 - Il piccolo naviglio
1981 - Il gioco del rovescio e altri racconti
1983 - Donna di Porto Pim 1984 - Notturno indiano 1985 - Piccoli equivoci senza importanza 1986 - Il filo dell'orizzonte 1987 - I volatili del Beato Angelico 1987 - Pessoana mínima 1988 - I dialoghi mancati 1990 - Un baule pieno di gente. Scritti su Fernando Pessoa 1991 - L'angelo nero 1992 - Sogni di sogni 1992 - Requiem 1994 - Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa 1994 - Sostiene Pereira. Una testimonianza 1995 - Dove va il romanzo
1995 - Carlos Gumpert, Conversaciones con Antonio Tabucchi 1997 - La testa perduta di Damasceno Monteiro
1997 - Marconi, se ben mi ricordo 1998 - L'Automobile, la Nostalgie et l'Infini 1999 - La gastrite di Platone
1999 - Gli Zingari e il Rinascimento
1999 - Ena poukamiso gemato likedes (Una camicia piena di macchie. Conversazioni di A.T. con Anteos Chrysostomidis)
2001 - Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere 2003 - Autobiografie altrui. Poetiche a posteriori 2004 - Brescia piazza della Loggia 28 maggio 1974-2004 2004 - Tristano muore. Una vita
2005 - Racconti 2006 - L'oca al passo 2009 - Il tempo invecchia in fretta 2010 - Viaggi e altri viaggi
Il dottor Pereira è un giornalista di Lisbona. Dirige la pagina culturale di un modesto giornale di regime nel Portogallo salazarista della fine degli anni trenta. Della realtà non gli interessa più nulla; dialoga col ritratto della moglie morta; scrive o pensa di scrivere necrologi di grandi autori; traduce testi altrui. Ma, un giorno, assume un collaboratore, Monteiro Rossi, un bizzarro giovane che, anche per la suggestione di Marta, la sua ragazza, fa politica clandestina e attiva tra gli antifascisti. Poco dopo, conosce il dottor (Cardoso, un medico che vuole fuggire dal Portogallo asfissiato e mortificato dalla dittatura. La realtà rientra così nella vita del placido e disilluso Pereira e lui se ne lascia progressivamente, pacificamente coinvolgere, fino a solidarizzare con gli amici antisalazaristi e a dare ospitalità in casa propria a Monteiro Rossi braccato dalla polizia segreta. E anche se non riesce a proteggere il suo giovane amico, tosto scoperto e ucciso a manganellate, Pereira lo vendicherà, denunciandone apertamente l'assassinio in un articolo fatto uscire sul giornale, con una beffa al regime del paese, da cui se ne andrà senza rimpianti.
Incipit:
1
Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell'imbarazzo di mettere su la pagina culturale, perché il "Lisboa" aveva ormai una pagina culturale, e l'avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d'estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo. Sarà perché suo padre, quando lui era piccolo, aveva un'agenzia di pompe funebri che si chiamava Pereira La Dolorosa, sarà perché sua moglie era morta di tisi qualche anno prima, sarà perché lui era grasso, soffriva di cuore e aveva la pressione alta e il medico gli aveva detto che se andava avanti così non gli restava più tanto tempo, ma il fatto è che Pereira si mise a pensare alla morte, sostiene. E per caso, per puro caso, si mise a sfogliare una rivista. Era una rivista letteraria, che però aveva anche una sezione di filosofia. Una rivista d'avanguardia, forse, di questo Pereira non è sicuro, ma che aveva molti collaboratori cattolici. E Pereira era cattolico, o almeno in quel momento si sentiva cattolico, un buon cattolico, ma in una cosa non riusciva a credere, nella resurrezione della carne. Nell'anima sì, certo perché era sicuro di avere un'anima; ma tutta la sua carne, quella ciccia che circondava la sua anima, ebbene, quella no, quella non sarebbe tornata a risorgere, e poi perché?, si chiedeva Pereira. Tutto quel lardo che lo accompagnava quotidianamente, il sudore, l'affanno a salire le scale, perché dovevano risorgere? No, non voleva più tutto questo, in un'altra vita, per l'eternità, Pereira, e non voleva credere nella resurrezione della carne. Così si mise a sfogliare quella rivista, con noncuranza, perché provava noia, sostiene, e trovò un articolo che diceva: «Da una tesi discussa il mese scorso all'Università di Lisbona pubblichiamo una riflessione sulla morte. L'autore è Francesco Monteiro Rossi, che si è laureato in Filosofia a pieni voti, e questo è solo un brano del suo saggio, perché forse in futuro egli collaborerà nuovamente con noi».
In questo romanzo salutiamo il ritorno, ad opera di uno dei più grandi tra i narratori contemporanei, di una tematica, se si può ancora usare la parola, più impegnata, meno letteraria e raffinata forse, ma anche più diretta, evidente e, in fin dei conti, più importante di quella da ultimo presente nei libri dello stesso Tabucchi e di tanti altri autori di questi anni. Il filtro del tempo, l'ambientazione anni trenta, i precisi e retrodatati contorni cronologici del racconto non ne impediscono infatti una lettura anche attuale o, per lo meno, lasciano intatto il fascino che i grandi motivi della politica, della libertà, della dignità esercitano, possono ancora esercitare in un bel romanzo. Peccato che a questa svolta verso la sostanza delle cose non faccia riscontro pieno e completo una parallela svolta nella scrittura, pur tanto diversa da quella abituale all'ultimo Tabucchi, ma ancora, temo, tentata di strizzare l'occhio agli addetti ai lavori della forma, a linguisti e narratologi, manipolatori vari del genere romanzo. Lo rivela il titolo, "Sostiene Pereira", che, ripetuto fino all'ossessione in tutto il libro, è anche il segno linguistico dominante della narrazione. È, o dovrebbe essere. Se un testo si svolge a partire da un: "tizio sostiene, afferma ecc.", infatti, occorre anche che esso, poi, sia orientato a svolgere tutto il tasso di ipoteticità che c'è in un fatto "sostenuto" e che quindi lo distanzi e discuta con altre ipotesi, lo interroghi con domande o, al limite, lo neghi clamorosamente. E, all'inizio, pare proprio che le cose stiano così. Il narratore-autore entra in dialogo col racconto del narratore-personaggio e avanza ipotesi, supposizioni, interloquisce: "Pare che Pereira stesse in redazione... Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo. Sarà perché suo padre..., sarà perché sua moglie..., sarà perché lui... ma il fatto è che..." si legge nei primi capitoli, quando il testo declina volentieri verso la subordinazione richiesta dal 'verbum opinandi', raddrizzata qua e là da affermazioni di cui il personaggio conserva tutta la responsabilità: "Sostiene Pereira che da principio si mise a leggere distrattamente l'articolo... Perché lo fece? Questo Pereira non è in grado di dirlo. Forse, perché quella rivista...., forse perché quel giorno..., o forse perché in quel momento... ma il fatto è che...". Poi, però, questo valore reale, non opzionale, del "sostiene Pereira" si perde o, perlomeno, il lettore lo smarrisce. La narrazione prende a svolgersi per frasi principali e passati remoti che non suggeriscono neppure alla lontana il dubbio del congiuntivo, la possibilità del condizionale, l'opinabilità dell'evento; si colloca in una netta, distaccata identità, allontanandosi, con la precisione ineluttabile dell'accaduto, dall'attualità, partecipe e ancora sgomenta, del testimone che rivive e "sostiene". Infine, il "[Pereira] sostiene" diventa un puro inciso ("Poi aprì la porta, sostiene"; "Pereira entrò in un caffè, sostiene, e ordin• un'acquavite") innocuo, neutro, senza riflessi formali nella disposizione del testo o della sua lingua; un inciampo che si potrebbe benissimo togliere senza che nulla venga a mancare nel libro. Perché Tabucchi, scrittore sorvegliato come pochi, abbia giocato con questo marchingegno (esibito al punto da diventare il titolo) senza poi, come avrebbe saputo fare benissimo (lo ha fatto benissimo in altre opere), disporre un'adeguata, conseguente strategia testuale, non so spiegarmi. Né riesco a convincermi che il verbo eponimo volesse essere solo un tic linguistico, una figura della ripetizione come il "beh pazienza" che il protagonista dice ogni volta che parla col ritratto della moglie o le molte limonate che beve durante il giorno; e non credo che il progressivo passaggio del valore di "sostiene" da quello dell'ipoteticità a quello della certezza, che, snaturandolo, lo assimila ai più diretti e tradizionali verbi e modi narrativi, sia figura di una fiducia progressivamente accordata dal romanziere al narratore personaggio. A ogni modo, il lettore non può fare a meno di interrogarsi su questo presente fasciato dal dubbio dell'opinabile, da questo segno tanto esposto, che sembra voler governare, orientare e segnare il testo intero e invece retrocede rapidamente a vistoso soprammobile stilistico e di fatto si defila, perdendo i propri originari connotati di affermazione decisa ma discutibile e lasciando libero campo a un passato accertato, ricostruito con esattezza, non più discusso evitato. Che sia la "morale" del libro, la "testimonianza" dichiarata nel sottotitolo, il suo modo di suggerire una lettura attualizzante?
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