Titolo originale: Love in the Time of Cholera Nazionalità: USA Anno: 2007 Genere: Drammatico, Romantico Durata: 139 minuti
Soggetto: Tratto dall’omonimo romanzo di Gabriel Garcia Marquez Sceneggiatura: Ronald Harwood Montaggio: Mick Audsley Musiche: Antonio Pinto Fotografia: Affonso Beato Scenografia: Wolf Kroeger Costumi: Marit Allen Effetti speciali: Double Negative Produttore: Jose Ludlow, Scott Steindorff Produzione: New Line Cinema, Stone Village Pictures,Grosvenor Park Media ltd. Distribuzione: 01 Distribution Data di uscita : 21 dicembre 2007(al cinema)
L’amore ai tempi del colera, tratto dal romanzo omonimo del Premio Nobel Gabriel Garcia Marquez e adattato dallo sceneggiatore Ronald Harwood (Oscar per Il Pianista), è una delle storie d’amore più romantiche mai scritte. E mai lette. E mai viste sullo schermo.
Una vicenda epica e coinvolgente, che abbraccia mezzo secolo di vita nella complessa, magica e sensuale città di Cartagena, in Colombia, dove si racconta di un uomo che aspetta più di cinquant'anni per unirsi al suo unico, vero amore. Florentino Ariza (Javier Bardem), poeta e impiegato al telegrafo, scopre la passione della sua vita quando vede Fermina Daza (Giovanna Mezzogiorno) dalle finestre della villa del padre. Grazie ad una serie di lettere appassionate, Florentino gradualmente conquista il cuore della giovane. Ma il padre di lei (John Leguizamo) s'infuria quando scopre la relazione e giura di volerli tenere separati per sempre. Fermina è costretta a sposare un sofisticato aristocratico, il dottor Juvenal Urbino (Benjamin Bratt), che ha riportato l'ordine e il primato della medicina a Cartagena, bloccando le ondate di colera che colpivano misteriosamente la città. Juvenal la porta con sè a Parigi dove rimangono per anni. Quando rientrano insieme a Cartagena, lei ha praticamente dimenticato il suo primo amore. Ma Florentino non l'ha scordata. Ora lui è un facoltoso negoziante e, seppure impegnato ad amoreggiare qua e là, desidera ancora Fermina. Il suo cuore è paziente ed è disposto ad aspettare tutta la vita per avere la possibilità di tornare con lei.
Prendete un versatile regista inglese, un tipo alla mano, di bocca buona pur con una laurea a Cambridge nel cassetto, capace di accostarsi ad un Harry Potter senza rinnegare un Donnie Brasco.
Scegliete nel vasto panorama letterario mondiale un mito “infilmabile”, uno di quegli scrittori evocativi e sublimi cui molti scelgono per principio di non accostarsi, paventando allergie poco nobili alla carta stampata che non rendono giustizia al capolavoro nascosto tra gli scaffali. Miscelate l’improbabile duo con un cast quantomeno peculiare, iper caratterizzato, colorito a tinte forti quanto il panorama colombiano che fa da cornice alla vicenda narrata.
La magia sceglierà poi di compiersi o non compiersi: l’impegno di certo è stato profuso a manciate molto (troppo?) generose.
Quella che, poco originalmente, ci si presenta sulla locandina come “la più grande storia d’amore mai raccontata”, è la tutt’altro che canonica ode al romanticismo che vincola per più di mezzo secolo Florentino Ariza (Javier Bardem), in principio giovane telegrafista e poeta, a Fermina Daza (Giovanna Mezzogiorno), bella figlia di un collerico arricchito. A cavallo tra Ottocento e Novecento, la vita dei due, per i celeberrimi “cinquantatre anni, sette mesi e undici giorni, notti comprese”, li vedrà destinati a differire la felicità insieme fino all’improbabile, meravigliosa riunione: prima il padre di lei, poi gli anni depositatisi fra i due sono veleno tossico contro il loro amore timido di adolescenti voraci. Ed è inevitabile per Fermina rifarsi una vita, sposare un rassicurante dottore, ignorare la voce ammaliante e pericolosa del ricordo. Ma Florentino non si arrenderà.
Il Sudamerica dei battelli fluviali, squisitamente grottesco, visionario e decadente dal quale i romanzi di Gabriel Garcia Marquez - perché di lui si tratta - ci hanno reso dipendenti ci si mostra qui nel più barocco affastellamento di cortili, pollame e vegetazione rigogliosa. E, proprio per questo, soffoca.
Spiace constatare che della folle mistica marqueziana siano rimasti unicamente gli scheletri dei personaggi a fare monito. Javier Bardem, sex symbol ispanico e molto di più, come sempre riesce ad operare su di sé la sorprendente metamorfosi che lo ha mutato da feticcio taurino di Almodòvar in straordinario paraplegico per Amenàbar, ma forse eccede nel rattrappirsi sotto le spoglie sfuggenti dello spasimante di Mina, trasformando in un gobbetto mansueto che procede a piccoli passi quella che doveva essere l’ombra risoluta, lieve ma inesorabile dell’amante inesausto di mille donne e di un’unica donna. La nostra Giovanna Mezzogiorno, altrove conquistatrice di critica e spesso sorprendentemente intensa, mal adatta gli occhi algidi e l’incarnato diafano ai sapori di una terra di sole qui dipinta in modo sin troppo vivido per amalgamare piacevolmente la discromia. Il regista Mike Newell, per sua stessa ammissione, non riesce a non brutalizzare l’opera sottoponendola a cesure inevitabili ma severe, privando i personaggi di motivazione intrinseca e l’intero lavoro di suggestioni irrinunciabili. Ascia alla mano. Finché, purtroppo, l’affresco che splendidamente macchia il bianco e nero della pagina scritta non rinuncia a compiere il balzo, a staccarsi da quella copertina, riducendo a macchietta e cerone ciò che doveva essere seducente febbre.
La frase: ** Florentino Ariza (Javier Bardem) : È la vita, non la morte, a non avere confini…
** Florentino Ariza (Javier Bardem) : Amare è soffrire… solo quando soffrirai amerai.
** Florentino Ariza (Javier Bardem) : L'unico cruccio che ho per la mia vita è non essere morto per amore
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