Titolo originale: The Man Who Fell to Earth
Titolo italiano: L' uomo che cadde sulla terra
Autore: Walter Tevis
1ª ed. originale: 1963
Data di Pubblicazione: Luglio 2006
Genere: Romanzo
Sottogenere: Fantascienza
Editore: Minimum Fax
Collana: Minimum classics
Traduttore: Ginetta Pignolo
Pagine: 231
Thomas Jerome Newton è un alieno proveniente dal pianeta Anthea che dopo aver studiato a distanza la terra prova a mimetizzarsi tra gli uomini, continuando a osservarli questa volta da vicino, con tutta la bellezza e la crudeltà che la condizione umana si porta dentro, con le incoerenze, le ignoranze, le assurdità tipiche dell'essere uomo.
La discesa dai cieli di un essere superiore diventa la sua discesa all'inferno, una creatura che ha osservato gli umani tanto da rivelarsi alla fine quasi più umano di loro, tanto da soffrire come e più di loro, forse addirittura per loro, per la loro condizione, per la loro incoscienza, per la strada che hanno intrapreso ormai senza via di ritorno.
Egli deve sobbarcarsi un compito misterioso, costosissimo, che necessita dei fondi provenienti dallo sfruttamento dei brevetti e delle invenzioni che Newton si è portato dietro dal suo mondo, frutto di una tecnologia e di una conoscenza superiore.
Egli è colui che dovrebbe portare in salvo il suo popolo condannato all'estinzione, ma si rende conto ben presto che gli uomini avrebbero ben più bisogno di aiuto, ma anche che non lo ammetteranno mai, destinandosi a scomparire ancor prima degli Antheani.
Incipit:
PARTE PRIMA
1
Dopo due miglia di cammino arrivò a una città. Prima dell'abitato vi era un cartello: HANEYVILLE, e sotto: 1400 AB. Andava benissimo, gli occorreva proprio una cittadina di quella grandezza. Era di mattina e ancora molto presto, aveva scelto quell'ora per la sua camminata in modo da approfittare del fresco. Non c'era ancora nessuno per la strada. Oltrepassò ancora parecchi isolati nella luce incerta, sconcertato dall'ambiente estraneo. Si sentiva tutto teso e un po' spaventato. Cercò di distrarre la sua mente da ciò che si accingeva a fare: ci aveva già pensato abbastanza.
Nel piccolo centro commerciale trovò quello che cercava: un negozietto con l'insegna: LO SCRIGNO. A un angolo di strada lì vicino vide una panchina e andò a sedersi, con tutto il corpo indolenzito per lo sforzo del gran camminare.
Fu di lì a qualche minuto che vide un essere umano.
Era una donna, una donna dall'aria stanca, infagottata in un vestito blu, che veniva verso di lui strascicando i piedi. Lui distolse subito gli occhi, sconcertato. Quell'apparizione non gli pareva normale: si era aspettato che fossero pressappoco della sua statura, e invece questa era più bassa di lui di almeno tutta la testa. E il colorito era più rossiccio, più scuro di quanto avesse immaginato, e poi l'aspetto, la sensazione che gli dava erano insoliti, anche se già sapeva che incontrarli non sarebbe stata la stessa cosa che vederli per televisione.
Finalmente, la strada incominciò a popolarsi di gente, e tutti più o meno erano come la donna. Udì un uomo osservare, passando: "... come ho detto, non si fanno più delle macchine come questa..." e sebbene la pronuncia gli suonasse strana, meno stringata di quanto si aspettava, riusciva a capire perfettamente.
Parecchi lo guardavano fisso e alcuni anche con sospetto, ma non se ne preoccupava. Non prevedeva di essere molestato, ed era tranquillo, perché dopo aver osservato gli altri, sapeva che il proprio abbigliamento poteva sostenere qualsiasi esame.
Quando la piccola gioielleria fu aperta, aspettò ancora un dieci minuti e poi vi entrò. Dietro il banco c'era un uomo. Un ometto paffuto in camicia bianca e cravatta intento a spolverare gli scaffali. Questi smise di lavorare, lo guardò per un attimo in un modo un po' strano, poi chiese: «Desiderate, signore?»
Si sentiva fuori misura e goffo. D'improvviso, si sentì anche molto spaventato. Aprì la bocca per parlare, e non ne venne fuori niente. Cercò di sorridere e sembrò che la faccia gli si congelasse. Giù in fondo dentro di sé, sentì qualcosa che cominciava ad assomigliare al panico, e per un attimo pensò che forse sarebbe svenuto.
L'uomo continuava a fissarlo sempre con lo stesso sguardo. «Desiderate, signore?» disse ancora.
Con un immenso sforzo di volontà, riuscì a parlare. «Vorrei... vorrei sapere se per caso vi interesserebbe questo... anello?» Quante volte aveva preparato quella innocente domanda, e l'aveva ridetta e ripetuta dentro di sé? Eppure adesso gli sembrava tanto strana quanto un gruppo di sillabe senza senso.
Una parabola, una fiaba per adulti, una metafora della solitudine, dell'emarginazione, della condanna alla diversità, ma anche del destino ineluttabile dell'umanità.
Una fantascienza atipica, senza scontri tra navicelle, alieni mostruosi o super-robot.
Lo stile in cui è scritta la storia, per quanto piacevole e curato è scarno. Colpisce ed è ciò che tiene stretti al libro la sofferenza che lo percorre tutto, il tormento, l'assillo di una scelta tra il futuro che si voleva e il presente che si è conosciuto, tra la natura di antheano del protagonista - alto, esile, leggero, intelligentissimo - e l'umanità - misera, alcolizzata, edonista, buona - che finisce per contagiarlo, per fargli dubitare della sua missione, per fargli temere che, a contatto con i terrestri, il suo popolo potrebbe impazzire.
La discesa nell'alcolismo del protagonista, così simile a quella dell'autore, è una parabola tutta umana: non intacca infatti il piano originario, non si crea mai davvero la situazione per cui tutto è perduto. Quello che è davvero perduto è Thomas Jerome Newton, il protagonista, così alla fine umano e così lucidamente antheano, la cui solitudine è uno stato a cui è condannato dalla sua stessa missione ed è il mare dove finisce per annegare.
Una storia poetica ma asciutta, amara, triste, inevitabile.
Dice Valerio Evangelisti nell'introduzione: "Siamo dalle parti di Philip K. Dick. Metafora politica unita a metafora di una condizione esistenziale".
Da libro è statto tratto il film omonimo del 1973 con David Bowie nella parte di Newton.
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