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The suspense is unbearable, the shock is electrifying, the climax is terrific!!!
Giallo anni '60 che incorpora alcune tematiche poi divenute costanti delle produzioni d'impronta argentiana, però non ancora feroce come i titoli apparsi negli anni '70, ma più lezioso grazie alle atmosfere pop e alle suggestioni biricchine da eros pin-up. L'idea nasce da Mario Bava che venne contattato dai produttori americani Woolner i quali pretendevano che il maestro si recasse negli States per dirigere il film. Bava, che non aveva intenzione di spostarsi dallo Stivale, riuscì a far venire la montagna da Maometto e i tre misero sulla carta la storia di un serial killer che faceva sfracelli in un college femminile. Titolo: Cry nightmare. Il progetto passò a Margheriti, dato che Bava alla fine si dedicò alla regia di Diabolik (1968), il quale Margheriti, insieme ai propri collaboratori, non portò radicali cambiamenti al progetto originario. Del titolo iniziale rimane la canzone "Nightmare" cantata da Rose Brenner e, tanto che avete l'orecchio teso, vi consiglio di notare come lo score musicale del film, curato da Carlo Savina, ricordi da (troppo) vicino il tema musicale del Batman camp interpretato da Adam west (l'unico Batman della storia con la pancetta!). A metà strada fra suggestioni hitchcockiane (doccia, travestitismo, voyeurismo, ...) e sadismo omicida, il film di Margheriti ha un animo troppo gioioso per atterrire davvero la platea, anche se l'avvicinarsi silenzioso del killer guantato alla vittima di turno e la in-sana ferocia con cui agisce non sono certo all'acqua di rose. Si tenga conto che però gli omicidi non sono mostrati in maniera esplicita, anzi in genere lo stacco arriva proprio quando l'occhio dello spettatore si fa più morbosamente curioso. Il movente in ogni caso è ancora ancorato ai modelli anni '60, l'omicida quindi è un "folle lucido" che mira a qualcosa di puramente venale, a differenza della ridda degli assassini anni '70 che sono mossi dalla psicopatologia più oscura. Margheriti però non è Bava, non ha i suoi guizzi stilistici né il sottile black humor del maestro, e gioca sui binari più definiti della commedia e del dramma che però non riescono a fondersi in maniera omogenea. I numerosi interventi di Jill, che è il principale vettore degli elementi comici, in alcuni casi stonano o se non altro abbassano il tono minaccioso della pellicola; lo fanno troppo spesso ed in maniera troppo marcata. D'altra parte l'identita del colpevole non è cosa difficile da smascherare così come non è complesso evitare i tranelli delle false piste che vedono al centro l'attore Luciano Pigozzi nei panni di un giardiniere voyeur. Insomma, Margheriti non è Bava né Argento e ovviamente neppure Hitchcock dal cui Psycho (1960) pesca a piene mani, ma tutto sommato realizza un film godibile per la cura produttiva, gli allestimenti, l'uso del formato panoramico, una fotografia vivida e ricca di colori. Il titolo pruriginoso promette chissà quali nudità, che in effetti mancano del tutto nella pellicola a parte dei leggeri e leziosi vestitini che al giorno d'oggi appaiono piuttosto castigati; c'è qualche scena stile donna che deve fare il bagno, però vabbé... Se non per l'eros il film vale per la sua atmosfera anni '60, e qui non ci piove, oltre al fatto che non sono pochi i film successivi che hanno preso il college femminile come location per le scorribande di un killer. A suo modo seminale. L'appassionato di cinema di genere gode a sufficienza, gli altri chissà.
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