Titolo album: The Endless River Artista:Pink Floyd Anno:7 novembre 2014
Durata: 52 minuti e 47 secondi
Genere:Rock Dischi: 1 Tracce: 18
Produttore: David Gilmour, Phil Manzanera, Youth, Andy Jackson Etichetta: Parlophone
01 - Side 1, pt. 1: Things Left Unsaid 04:24
02 - Side 1, pt. 2: It's What We Do 06:21
03 - Side 1, pt. 3: Ebb and Flow 01:50
04 - Side 2, pt. 1: Sum 04:49
05 - Side 2, pt. 2: Skins 02:37
06 - Side 2, pt. 3: Unsung 01:06
07 - Side 2, pt. 4: Anisina 03:15
08 - Side 3, pt. 1: The Lost Art of Conversation 01:43
09 - Side 3, pt. 2: On Noodle Street 01:42
10 - Side 3, pt. 3: Night Light 01:42
11 - Side 3, pt. 4: Allons-y (1) 01:56
12 - Side 3, pt. 5: Autumn '68 01:35
13 - Side 3, pt. 6: Allons-y (2) 01:35
14 - Side 3, pt. 7: Talkin' Hawkin' 03:25
15 - Side 4, pt. 1: Calling 03:38
16 - Side 4, pt. 2: Eyes to Pearls 01:51
17 - Side 4, pt. 3: Surfacing 02:46
18 - Side 4, pt. 4: Louder Than Words 06:32
I Pink Floyd nascono nella seconda metà degli anni ’60 dalla frequentazione di quattro studenti, Roger Waters, Syd Barrett, Rick Wright e Nick Mason, mutuando il proprio nome dall’unione di quelli di due bluesman, Pink Anderson e Floyd Council. Nel 1966 i ragazzi iniziano a frequentare la nascente scena underground inglese, che ben presto assumerà contorni e connotati prettamente psichedelici. All’inizio del 1967 il gruppo pubblica il suo primo singolo, “Arnold Layne”, ritratto di un travestito che non manca di attirare attenzione sulla band, così come fa il successivo singolo “See Emily play”. entrambe le canzoni sono firmate da Syd Barrett, leader naturale della band e autore di gran parte del materiale relativo al primo album della band, THE PIPER AT THE GATES OF DAWN. Purtroppo il felice momento artistico dura poco, perché già verso la fine del 1967 Barrett inizia a dare segni di instabilità psichica, forse legata ad un uso eccessivo di sostanze lisergiche: il risultato è l’arrivo nella band, in qualità di quinto membro e poi di sostituto permanente di Barrett, del chitarrista David Gilmour. La presenza di Barrett, almeno a livello compositivo, continua a farsi sentire anche nell’album successivo della band, A SAUCERFUL OF SECRETS, uscito nel 1968 e accolto da un buon successo. Ancora meglio fa UMMAGUMMA, del 1969, seguito dalla colonna sonora del film MORE. I Floyd sfruttano il momento di grande interesse che li riguarda e con MEDLE affinano la propria formula musicale, che li conduce nel 1973 alla pubblicazione di un vero capolavoro, THE DARK SIDE OF THE MOON, l’album che supera tutti i record di vendita e popolarità e si piazza nella top 100 di Billboard per ben 741 settimane.
Difficile scrivere un seguito a cotanto successo, ma i Floyd – ormai dal punto di vista compositivo nelle salde mani di Roger Waters – ci riescono rievocando il fantasma dell’amico-scomparso Syd Barrett, ormai definitivamente lontano dalla scena musicale e tornato a vivere in famiglia dopo anni pericolosi e bui. E’ per lui il titolo del nuovo lavoro, WISH YOU WERE HERE, e per lui è anche una splendida canzone come SHINE ON YOU CRAZY DIAMOND. Da dopo WISH YOU WERE HERE, una certa megalomania d’intenti e una tendenza al concept album si impadroniscono della musica dei Floyd, che pubblicano ANIMALS e un altro album destinato ad entrare nella storia, il monumentale doppio intitolato THE WALL. L’album rappresenta il primo tentativo compiuto di autoanalisi da parte di Roger Waters, che a quel punto accentra sempre più su di sé il potere decisionale: per l’album successivo della band, THE FINAL CUT, Rick Wright è addirittura posto fuori formazione mentre i Floyd sono quasi retrocessi ad house band del progetto firmato dal solo Waters. Non è un mistero che THE FINAL CUT sia stato edificato da Waters come l’ultimo passo della carriera Pink Floyd: ma il bassista dovette a malincuore abbandonare le sue pretese relative all’inibizione dell’uso del marchio quando David Gilmour e Nick Mason, fiutato l’affare, ripartirono con un nuovo progetto musicale a nome Pink Floyd, avendo cura di attirare nella struttura Storm Thorgerson, già autore delle vecchie e indimenticabili cover della band, oltre al tastierista Rick Wright, nuovamente renitegrato.
Mescolando abilmente qualità e nostalgie i Floyd nuova versione consegnano al mondo due album di studio, A MOMENTARY LAPSE OF REASON e THE DIVISION BELL e altrettanti live, DELICATE SOUND OF THUNDER e PULSE, a riprova di quanto fosse importante l’aspetto commerciale per la formazione che ha ora in David Gilmour il suo capitano. Nel 2000, arriva un nuovo live, questa volta dedicato a quello che unanimemente viene considerato il capolavoro dell’ultima fase dei Floyd, l’angoscioso e catartico THE WALL: IS THERE ANYBODY OUT THERE? THE WALL LIVE contiene registrazioni catturate da ben sette concerti dei Floyd risalenti al biennio 1980-81, ed è stato realizzato con il benestare di Waters e degli altri Floyd. L'aria di autocelebrazione continua con la pubblicazione nel 2001 di ECHOES, ‘best of’ in due volumi, in cui le canzoni - scelte direttamente dalla band - sono mixate a formare un'unica lunga suite. I Pink Floyd, compreso Roger Waters, si riuniscono nel 2005, suonando per il Live8, l'evento benenefico organizzato da Bob Geldof: la performance rinfocola l'interesse per la band ma i membri, dopo diverse speculazioni, negano ogni possibilità di reunion più duratura, dedicandosi alle proprie carriere individuali. Il 15 settembre 2008 scompare Richard Wright all'età di 65 anni.
A sopresa, nel luglio 2014, la moglie di David Gilmour annuncia con un tweet la pubblicazione di THE ENDLESS RIVER, "nuovo" album dei Pink Floyd ricavato da incisioni effettuate tra il 1993 e il 1994 da David Gilmour, Nick Mason e Richard Wright durante le session di registrazione di "The division bell", e pensato proprio come un omaggi allo scomparso Wright.
Discografia essenziale: 1967 - The piper at the gates of dawn
1968 - A saucerful of secrets
1969 - Ummagumma
1969 - More
1970 - Atom heart mother
1971 - Meddle
1972 - Obscured by clouds
1973 - Dark side of the moon
1975 - Wish you were here
1977 - Animals
1979 - The wall
1983 - The final cut
1987 - A momentary lapse of reason
1988 - Delicate sound of thunder
1994 - The division bell
1995 - Pulse
2000 - Is there anybody out there? The wall live
2001 - Echoes
2014 - The endless river
Sito ufficiale di
Un dialogo musicale con l’aldilà. Un omaggio a Rick Wright. Un collage sfilacciato. Cinquanta minuti d’immersione in un suono senza tempo. Una lunga introduzione alla canzone che chiude l’avventura dei Pink Floyd. Una pietra tombale leggera. “The endless river” è il disco che nessuno s’aspettava, non fino al tweet di Polly Samson dello scorso luglio. Al posto d’andarsene con un’ultima dichiarazione roboante, con un disco denso di significati e un tour colossale, i Pink Floyd si congedano con un tributo all’arte del tastierista scomparso nel 2008, ma anche al proprio talento di architetti sonori. Album sostanzialmente strumentale, “The endless river” allude alla libertà che la band aveva negli anni precedenti “The dark side of the moon”. La libertà di allontanarsi dalla forma canzone, la libertà di sbagliare. Con una differenza fondamentale: quelli erano Pink Floyd audaci e progressisti, questi sono appagati e conservatori.
“The endless river” è anzitutto un’appendice a “The division bell”. Per i pochi che ancora non conoscono la storia, durante le session dell’album del 1994 il gruppo allora composto da David Gilmour, Richard Wright e Nick Masoncarezzò l’idea di pubblicare un doppio: da una parte le canzoni, dall’altra gli strumentali, una specie di "Ummagumma". Il progetto fu abbandonato e per quasi vent’anni jam e musiche abbozzate sono rimaste negli archivi di Gilmour. Lì è finito anche “The big spliff”, il collage assemblato da Andy Jackson a partire da quei frammenti per dimostrarne le potenzialità. Ma “The endless river” non è “The big spliff”. Le venti ore di registrazioni d’archivio sono state affidate ai co-produttori Phil Manzanera, Youthe allo stesso Jackson al fine di ricavare e montare i momenti migliori. Privo del talento progettuale di un Roger Waterse forse distratto dalla registrazione del suo album solista, Gilmour ha affidato a loro il compito di porre le basi dell’album. Quando ha ripreso possesso del progetto le tracce assemblate dai produttori sono state in parte risuonate e rimaneggiate, integrate da nuove performance, mischiate e riordinate fino a comporre le quattro sezioni dell’album. Alle session hanno partecipato Jon Carin e Damon Iddins alle tastiere, Guy Pratt e Bob Ezrin al basso, il sassofonista Gilad Atzmon, tre coriste e il quartetto femminile d’archi elettrici Escala, lanciato in patria dalla partecipazione a “Britain’s got talent”.
È il disco ambient dei Pink Floyd, è stato detto. E invece “The endless river” nega uno dei principi della musica ambient che è progettata per fare da sfondo alle attività quotidiane. La musica come un mobile, un quadro, tappezzeria. “The endless river” non funziona così. Richiede la vostra attenzione per essere apprezzato perché comunica attraverso piccole variazioni, l’alternanza dei colori timbrici, l’idea della musica strumentale come narrazione astratta. Per capirlo ti ci devi immergere. Frustra l’ascoltatore da YouTube, quello che vuole un ritornello entro trenta secondi, e che sia clamoroso. L’album offre una visione parziale dei Pink Floyd, mostrando per lo più il loro talento nel lanciarsi in digressioni strumentali d’atmosfera. E offre ottime prove di Gilmour, del suo timbro, del suo tocco. In questo senso, il disco sta perfettamente all’interno alla tradizione della band. Fin troppo, e questo è il suo limite principale. Riferimenti ai lavori compresi fra “The dark side of the moon” e “The wall”, e ovviamente a “The division bell”, fanno sembrare l’album un’eco del passato. È assente ogni temerarietà. Fortunatamente, sono assenti anche i suoni databili risalenti alle session del 1993 e rintracciabili in “The division bell”. Curiosamente, compare un frammento suonato da Wright all’organo della Royal Albert Hall nel 1969: non stona affatto.
Quel che ascoltiamo non è il dialogo creativo fra i musicisti del gruppo. Somiglia piuttosto alla visione collettiva – di Gilmour, Mason, Manzanera, Youth e Jackson – dell’essenza dei Pink Floyd. È un collage a più mani costruito partendo da materiale preesistente e seguendo un’idea di quel che i Pink Floyd sono o dovrebbero essere. Gilmour e Mason non hanno alterato il carattere estemporaneo delle incisioni, hanno salvaguardato la loro precarietà negandosi un’opportunità. Avrebbero potuto trasformare alcuni strumentali in canzoni e soddisfare un pubblico ancora più vasto. Hanno preferito restare fedeli all’idea originaria producendo uno di quei dischi “minori” che compaiono nella discografia dei Pink Floyd pre “Dark side”. Il problema è che essendosi legati a un “copione” – il montaggio delle vecchie incisioni – Gilmour e Mason non hanno perfettamente risolto il problema della frammentarietà del materiale. Se “It’s what we do”, “Anisina” e “Allons-y” offrono una narrativa musicale compiuta, molti altri brani di un paio di minuti di durata sembrano code o preludi di canzoni che non arrivano mai e specie all’inizio della terza sezione il gruppo semina scampoli musicali facilmente emendabili. Un tempo ogni nota dei Pink Floyd sembrava scolpita, pensata, necessaria. S’ascoltavano i loro strumentali col fiato sospeso, per capire dove sarebbero andati a finire. Oggi la loro musica è splendidamente prevedibile.
L’album può suonare alle orecchie dei più impazienti come una lunga introduzione – a metà fra trance, sogno e incubo – al pezzo cantato che lo chiude, “Louder than words” (la versione deluxe comprende altri tre strumentali e sei tracce video). Vent’anni fa “The division bell” si chiudeva in modo dolceamaro con l’intensa nostalgia di “High hopes” per un’epoca in cui “l’erba era più verde e la luce più accesa”. Oggi “The endless river”, che prende il titolo da un verso di quella stessa canzone, chiude la storia dei Pink Floyd con un sentimento di pacificazione e uno sguardo che abbraccia apparentemente l’intera storia del gruppo. Quando David Gilmour canta “Quel che facciamo è più forte delle parole” – lui in tonalità bassa e le coriste un’ottava sopra, sul modello di Leonard Cohen – la memoria va alla parabola di Syd Barrett, alla lotta senza quartiere con Roger Waters, all’esclusione di Richard Wright. Prendendo a prestito le parole di Polly Samson, il gruppo lancia con “Louder than words” il primo sguardo compassionevole su se stesso, sulle proprie miserie, sui propri talenti. I Pink Floyd non hanno altro da dire. Ora possono dissolversi nella storia. Rockol.it
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Generale
Nome completo : Pink Floyd - The Endless river (2014) [MT]\01 - Side 1, Pt. 1Things Left Unsaid.mp3
Formato : MPEG Audio
Dimensione : 10,2MiB
Durata : 4min 26s
Modo bitrate generale : Costante
Bitrate totale : 320 Kbps
Album : The Endless River
Traccia : Things Left Unsaid
Traccia/Posizione : 01
Esecutore : Pink Floyd
Genere : Rock
Data registrazione : 2014
Compressore : LAME3.99 Copertina : Yes
Tipo di copertina : Cover (front)
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Formato : MPEG Audio
Versione formato : Version 1
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Modo compressione : Con perdita
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