STORMY SIX
UN BIGLIETTO DEL TRAM
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Franco Fabbri (chitarra, voce)
Umberto Fiori (chitarra, voce)
Carlo De Martini (sax, violino)
Tommaso Leddi (violino, mandolino, balalaika, chitarra)
Luca Piscicelli (basso, voce)
Antonio Zanuso (batteria)
+ Giorgio Albani (tecnico del suono)
Fonit Cetra (CDM 2112)
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1. Stalingrado - 5:25
2. La fabbrica - 3:53
3. Arrivano gli americani - 5:55
4. 8 settembre - 4:52
5. Nuvole a Vinca - 4:25
6. Dante di Nanni - 4:18
7. Gianfranco Mattei - 4:22
8. La sepoltura dei morti - 3:53
9. Un biglietto del tram - 5:42
Anni caldi questi. Siamo a metà degli anni settanta ed esattamente nel ’75 esce questo disco che è il più bell’esempio di “musica politica” mai prodotto in
Italia. L'album “Un biglietto del tram” è il primo vero album decisamente originale e con forti contenuti politici degli Stormy Six. Forse è storia o forse è
leggenda che a Milano alcune frange del “movimento” abbiano accusato gli Stormy Six di deviazionismo, la colpa: incidere dischi e, soprattutto, venderli!
Questo è stato lo scotto di una notorietà costruita concerto dopo concerto, piazza dopo piazza. La grandezza di questo “progetto” è stata nella capacità di
saper raccontare attraverso le “immagini”, un’Italia in guerra.
Il disco apre con quello che diventerà uno dei loro portabandiera, la bellissima Stalingrado (…sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa d'ora in poi
troverà Stalingrado in ogni città) canzone di forte spessore che rievoca l’omonimo assedio. La Fabbrica (…e corre qua e là un ragazzo a dar la voce si ferma
un'altra fabbrica, altre braccia vanno in croce) ci restituisce l’atmosfera di paura e fervore che precede il grande sciopero del marzo del 1943 nelle
fabbriche del nord. Arrivano gli americani (…arrivano gli americani, garibaldini marziani, Vergine Santa, hai sentito le nostre preghiere!) testo ironico e
di facile riff che rimane nella mente, imperniato sulla “liberazione americana (?)”. 8 Settembre (…ammazzati come cani, un cartello appeso al collo:
’PARTIGIANI’) probabilmente il brano più intenso dove i testi e la musica si intrecciano in un tutt’uno canzone carica e profonda ed espressione di una
grande tragedia. Nuvole a Vinca (…dove sono i giovani, prigionieri in Africa, deportati a Buchenwald o sui monti, liberi...) rende palpabile la paura
provocata dalla polvere che si solleva e da quella moto con sidecar che sgomma sulla piazza prima del massacro. La bellissima Dante Di Nanni (…e cento volte
l'hanno ucciso, ma tu lo puoi vedere: gira per la città, Dante di Nanni) affronta naturalmente la resistenza e diviene una figura quasi mitica, il simbolo di
una battaglia che, trent’anni dopo, non doveva cessare. Gianfranco Mattei (…e se per di più sei un comunista ed un ebreo, dalle mani dei nazisti ti salvi il
tuo Dio!) brano a ricordare tutte quelle persone che hanno speso la propria vita in cambio della nostra libertà. In La sepoltura dei morti (…la morte non
vale nemmeno il giornale che leggi e che poi butti via) c’è l’amara riflessione di quello che è avvenuto in seguito ai fatti cruciali del ‘900 e delle sue
conseguenze. Un biglietto del tram (…non bastava un biglietto, un biglietto del tram per tornare in piazzale Loreto?) conclude amaramente l’album.
Ora più che mai questo disco risuona attuale, in un momento che i giovani sembrano incapaci di stare a sentire un ragionamento politico per più di cinque
minuti, sarebbe l’occasione giusta per ascoltare questo disco. Disco che, sia chiaro pur essendo “politico” nei suoi testi, rimane musicalmente parlando
ricco di spunti e di idee. Gli strumenti creano un tappeto sonoro che non fa da supporto ma, è parte integrante alle parole stesse, un disco quindi dove
anche la Musica ha un valore non secondario
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Gli Stormy Six sono una leggenda. Un gruppo che meriterebbe un film, anzi anche due o tre. Invece il gruppo milanese ha dovuto accontentarsi di una
visibilità mediatica sempre assai ristretta (per non dire nulla), in un oscuramento che per certi versi prosegue ancora oggi con la scarsità di rivisitazioni
della loro affascinante discografia. Un biglietto del tram è il loro quarto disco, e segna il punto di svolta di una carriera, la maturità artistica
raggiunta con un’eccezionale intreccio tra piena coscienza politica e raffinata capacità compositiva.
Grande merito di un ispirato lavoro collettivo che vede affiancarsi artisti del calibro di Franco Fabbri (chitarra, voce), Umberto Fiori (chitarra, voce),
Carlo De Martini (sax, violino), Tommaso Leddi (violino, mandolino, balalaika, chitarra), Luca Piscicelli (basso, voce), Antonio Zanuso (batteria) e Giorgio
Albani come tecnico del suono. Gente che oltre a passare ore ed ore in riunioni politiche, manifestazioni e comizi elettorali ha studiato musica, fatto
pratica in conservatorio e poi con il beat; gente che ha studiato i libri di Adorno e Gramsci raggiungendo una piena coscienza artistica e politica, che li
ha portati a cercare una non banale fusione tra ricerca stilistico-musicale e testi impegnati.
Non per niente non si trovano due dischi uguali nella carriera degli Stormy Six. Il precedente Guarda giù dalla pianura (1973) era infatti una raccolta di
canzoni folk di protesta alla Woody Guthrie; il successivo Cliché (1976) sarà invece uno strumentale dagli influssi più jazzistici concepito per opere
teatrali. Non parliamo poi dei dischi successivi, tra i lavori più significativi del progressive internazionale. Un biglietto del tram rappresenta il ponte
tra queste esperienze: ancora forte l’influsso del folk (più o meno impegnato) e della West Coast, emergono già abbozzi di strutture progressive e raffinate
linee classiche, il tutto calato tra umori nordico-irlandesi (la futura fortuna di gruppi come Gang e Modena City Ramblers) e un’accogliente strumentazione
acustica, assai attinente nella riscoperta di un tema popolano e “rustico” come quello della Resistenza al nazifascismo.
E’ questo infatti il tema conduttore del concept-album, basato sulla rievocazione di eventi e personaggi degli ultimi anni della seconda guerra mondiale in
Italia. Eventi storici decisivi per le sorti dell’intero pianeta (Stalingrado) o rievocazioni di piccoli grandi eroi partigiani locali (Dante di Nanni,
Gianfranco Mattei). E’ anche questa una grande capacità degli Stormy Six: quella di saper creare inni esportabili anche all’estero (nonostante la lingua
italiana di consueto intralcio) oltre a proseguire quel filone di canzoni di protesta rilanciato nel circuito dell’industria musicale dal gruppo dei
Cantacronache (“una canzone per ogni compagno caduto? Sì, facciamolo!” si diceva nei dibattiti interni tra Calvino, Fortini, Straniero e altri), che dopo
opportune ricerche nel canto sociale italiano sfonderà con canzoni come Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei.
Il resto lo fa la magia, la capacità di respirare un clima cultural-politico inarrivabile: quello del 1975, anno in cui il PCI vinceva le elezioni
amministrative apprestandosi a raggiungere il famoso 34% alle successive elezioni politiche del 1976; ma anche quello in cui le lotte operaie e studentesche
proseguivano di pari passo, sull’onda lunga di quel decennio rosso che sembrava non dover finire mai (e che invece troverà termine di lì a breve, preparando
il declino della canzone di protesta).
Oggi scoprire un brano come Stalingrado fa un effetto meraviglioso. Non solo per l’eccezionale intreccio stilistico-musicale che alterna perfettamente
arpeggi di chitarra e dibattiti infuocati tra violini appassionati, micidiali climax strumentali e continui cambi di ritmo prog mitigati da armonie vocali
originali e imponenti nella loro fierezza. E’ davvero una magia quella che accompagna le preziose sviolinate alla voce di Umberto Fiori mentre descrive
bozzetti di vita quotidiana intrecciarsi con la magniloquenza di un decisivo trionfo di coscienze (“La radio al buio e sette operai, / sette bicchieri che
brindano a Lenin / e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile, / vola un berretto, un uomo ride e prepara il suo fucile. / Sulla sua strada gelata la
croce uncinata lo sa / D'ora in poi trovera' Stalingrado in ogni citta'.”).
Un fascino che segue col continuum di La fabbrica, in cui gli arrangiamenti acustici e l’alternanza di ritmi lenti-veloci si combinano squisitamente con
sublimi duetti di violini e la voce di Franco Fabbri che alterna un tono magniloquente (“Arriva una squadraccia armata di bastone / fan dietro fronte subito
sotto i colpi del mattone / e come a Stalingrado i nazisti son crollati / all'Apreda rossa in sciopero i fascisti son scappati”) ad un cupo realismo (“Grandi
promesse, la patria e l'impero / sempre piu' donne vestite di nero / allarmi che suonano in macerie le città”).
Arrivano gli americani spezza l’epicità con arrangiamenti più scherzosi, quasi zingareschi, che lasciano più spazio al racconto vocale. 8 Settembre sfrutta
dei violini più sperimentali, le cui dissonanze accompagnano un folk-prog rafforzato da una base ritmica più solida e sguizzante del solito. Languori soffici
e delicati caratterizzano Nuvole a Vinca, dai motivi classico-romantici accompagnati da arpeggi leggeri ed un’andatura borbottante.
Dante di Nanni è un’altra ballata epica in cui i consueti gustosissimi assoli di violini inquadrano un testo assai ispirato che immortala per sempre la
figura dell’eroico partigiano (“Trent'anni son passati, da quel giorno che i fascisti / Ci si son messi in cento ad ammazzarlo / E ancora non si sentono
tranquilli, / perché sanno che gira per la citta', Dante di Nanni.”). Il sapore folk memorialistico è lo stesso in La sepoltura dei morti (dall’incipit
vagamente gucciniano), mentre più sperimentali in ottica prog sono Un biglietto del tram e Gianfranco Mattei.
Non riuscitissimo il primo brano, eccessivamente spezzettato e amelodico, meglio il secondo, che alterna ritmo zigzagante, basso borbottante, fraseggi
strumentali infuocati e un ritornello vocale che immortala per sempre la figura del professore universitario partigiano (“Gianfranco Mattei, / la tua
cattedra e' rimasta la' / Gianfranco Mattei, / la lezione non si perdera'.”). C’è un ultimo aspetto che rende Un biglietto del tram un disco davvero
speciale: è il primo album uscito per la neonata casa discografica de L’Ariston, logica conseguenza della creazione de L’Orchestra, una cooperativa musicale
che a detta di Fabbri è “nata per garantire l'autonomia dei musicisti impegnati politicamente dall'invadenza propagandistica di partiti e partitini, e per
tutelarli sotto il profilo economico e sindacale”.
Praticamente una controstruttura industriale alternativa che permetteva di bypassare il circuito delle majors (pensiamo alle etichette indie odierne…). E pur
tra enormi difficoltà il disco, venduto porta a porta, durante manifestazioni e in pochi negozi finisce per arrivare a quota trentamila copie. Un piccolo
miracolo per l’epoca, sia per il periodo di crisi discografica sia per la scarsità di promozione mediatica e di risorse per la distribuzione. Merito della
magia che circondava quegli anni forse. O forse soprattutto merito di un disco e di un gruppo che sfiorano la leggenda.
::->DATI TECNICI E NOTE<-:: FORMATO FLAC + M3U
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